martedì 30 dicembre 2008

Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?, di Mustafa Barghouthi con Francesca Borri

E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua.
Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i bambini, consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano?
Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l'elettricità in sala operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si chiama, quando manca tutto il resto?
E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di autodifesa.
La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili - e d'altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che chiacchierano di Palestina, qui all'angolo della strada, sono per le leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale, una forza combattente? - se nei documenti ufficiali siamo marchiati come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di Israele?
Se l'obiettivo è sradicare Hamas - tutto questo rafforza Hamas.
Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della democrazia; a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l'esercizio della democrazia - ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi esploda addosso improvvisa.
Non è il fondamentalismo a essere bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si oppone al fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza di dialogo, la lucidità di ragionare il coraggio di disertare - non un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altra Palestina, terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di Fatah e la miopia di Hamas. Stava per assassinarmi per autodifesa, ho dovuto assassinarlo per autodifesa - la racconteranno così , un giorno i sopravvissuti.
E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi processo di pace, gli israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno con cui parlare. E effettivamente - e ma come potrebbero mai averlo, trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto - perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo l'ennesima arma di distrazione di massa per l'opinione pubblica internazionale? Quattro pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprender alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti, come - testuale - gli attacchi contro i civili. Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di guerra non una questione di cortesia.
E se Annapolis è un processo di pace, mentre l'unica mappa che procede sono qui intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati le case demolite, gli insediamenti allargati - perchè allora non è processo di pace la proposta saudita? La fine dell'occupazione, in cambio del riconoscimento da parte di tutti gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di reazione?Qualcuno, là, per caso ascolta, dall'altro lato del Muro?
Ma sto qui a raccontarvi vento. Perché legger solo un rigo domani, sui vostri giornali e solo domani, poi legger solo, ancora, l'indifferenza.
Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io conosco nome a nome, vita a vita - solo una vertigine di infinito abbandono e smarrimento. Europei, americani e anche gli arabi - perchè dove finita la sovranità egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo di Rafah? - siamo semplicemente soli. Sfilate qui, delegazione dopo delegazione - e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole restano nell'aria, come sugheri sull'acqua. Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità e liberà, frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E invece arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per noi. Una scuola? una clinica forse? delle borse di studio? E tentiamo ogni volta di convincervi - no, non la generosa solidarietà, insegnava Bobbio, solo la severa giustizia - sanzioni, sanzioni contro Israele. Ma rispondete - e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello squilibrio, partigiani dei vincitori - no, sarebbe antisemita. Ma chi è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per sessant'anni, fino a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i lati? Rileggere Hannah Arendt forse è antisemita, oggi che siamo noi palestinesi la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull'ultima razza soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma l'esatto opposto, sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah chiamata sionismo. Perché non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altro Israele, terzo e diverso, mentre schiva il pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la miopia della destra.
So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto questo si chiama solo apartheid - e genocidio. Perché non importa che le politiche israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le definizioni delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il suo aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che l'ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza dei vincitori.
La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il vostro silenzio, il suono di queste esplosioni. Qualcuno si sente berlinese, davanti a un ltro Muro. Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

Mustafa Barghouthi è un medico palestinese, autorevolissimo attivista per la pace

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lunedì 29 dicembre 2008

Senza uguaglianza la democrazia è un regime, di GUSTAVO ZAGREBELSKY

da: Repubblica on line:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/11/26/senza-uguaglianza-la-democrazia-un-regime.html
Regime o non-regime? Un confronto su questo dilemma, pur così tanto determinante rispetto al dovere morale che tutti riguarda, ora come sempre, qui come ovunque, di prendere posizione circa la conduzione politica del paese di cui si è cittadini, non è neppure incominciato. La ragione sta, probabilmente, in un' associazione di idee. Se il "regime", inevitabilmente, è quello del ventennio fascista, allora la domanda se in Italia c' è un regime significa se c' è "il" o "un" fascismo; oppure, più in generale, se c' è qualcosa che gli assomigli in autoritarismo, arbitrio, provincialismo, demagogia, manipolazione del consenso, intolleranza, violenza, ecc.
Così, una questione seria, anzi cruciale, viene attratta sul terreno, che non si presta all' analisi, della demonizzazione politica, funzionale all' isteria e allo scontro. Ma "regime" è un termine totalmente neutro, che significa semplicemente modo di reggere le società umane. Parliamo di "Ancien Régime", di regimi repubblicani e democratici, monarchici, parlamentari, presidenziali, liberali, totalitari e, tra gli altri, per l' appunto, di regime fascista. Senza qualificazione, regime non ci dice nulla su cui ci sia da prendere posizione, perché l' essenziale sta nell' aggettivo. Così, assumendo la parola nel suo significato proprio, isolato dalle reminiscenze, la domanda iniziale cambia di senso: da "esiste attualmente un regime" in "il regime attuale è qualcosa di nuovo, rispetto al precedente"? Che l' Italia viva un' esperienza costituzionale, forse ancora in divenire e dall' esito non scontato, che mira a non lasciarsi confondere con quella che l' ha preceduta: almeno di questo non c' è da dubitare. Lo pensano, e talora lo dicono, tanto i favorevoli, quanto i contrari, cioè lo pensiamo e lo diciamo tutti, con definizioni ora passatiste ora futuriste. Non lo si dice ufficialmente e a cifra tonda, perché il momento è, o sembra, ancora quello dell' incubazione. La covata è a mezzo. L' esito non è scritto. La Costituzione del ' 48 non è abolita e, perciò, accredita l' impressione di una certa continuità. Ma è sottoposta a erosioni e svuotamenti di cui nessuno, per ora, può conoscere l' esito. Forze potenti sono all' opera per il suo superamento, ma altre forze possono mobilitarsi per la sua difesa. La Costituzione è in bilico. Che cosa significa "costituzione in bilico"? Innanzitutto, che non si vive in una legittimità costituzionale generalmente accettata, cioè in una sola concezione della giusta costituzione, ma in (almeno) due che si confrontano. Ogni forma di reggimento politico si basa su un principio essenziale, una molla etica, il ressort di cui parla Montesquieu, trattando delle forme di governo nell' Esprit des lois. Quando questo principio essenziale è in consonanza con l' esprit général di un popolo, allora possiamo dire che la costituzione è legittima e, perciò, solida e accettata. Quando è dissonante, la costituzione è destinata crollare, a essere detronizzata. Se invece lo spirito pubblico è diviso, e dunque non esiste un esprit che possa dirsi général, questo è il momento dell' incertezza costituzionale, il momento della costituzione in bilico e della bilancia che prima o poi dovrà pendere da una parte. È il momento del conflitto latente, che non viene dichiarato perché i fautori della rottura costituzionale come quelli della continuità non si sentono abbastanza sicuri di sé e preferiscono allontanare il chiarimento. I primi aspettano il tempo più favorevole; i secondi attendono che passi sempre ancora un giorno di più, ingannando se stessi, non volendo vedere ciò che temono. Tutti attendono, ma i primi per prudenza, i secondi per ignavia. Non voler vedere, significa scambiare per accidentali deviazioni quelli che sono segni di un mutamento di rotta; significa sbagliare, prendendo per lucciole, cioè per piccole alterazioni che saranno presto dimenticate come momentanee illegalità, quelle che sono invece lanterne, cioè segni premonitori e preparazioni di una diversa legittimità. Così, si resta inerti. L' accumulo progressivo di materiali di costruzione del nuovo regime procede senza ostacoli e, prima o poi, farà massa. Allora, non sarà più possibile non voler vedere, ma sarà troppo tardi. * * * Ciò che davvero qualifica e distingue i regimi politici nella loro natura più profonda e che segna il passaggio dall' uno all' altro, è l' atteggiamento di fronte all' uguaglianza, il valore politico, tra tutti, il più importante e, tra tutti però, oggi il più negletto, perfino talora deriso, a destra e a sinistra. Perché il più importante? Perché dall' uguaglianza dipendono tutti gli altri. Anzi, dipende il rovesciamento nel loro contrario. Senza uguaglianza, la libertà vale come garanzia di prepotenza dei forti, cioè come oppressione dei deboli. Senza uguaglianza, la società, dividendosi in strati, diventa gerarchia. Senza uguaglianza, i diritti cambiano natura: per coloro che stanno in alto, diventano privilegi e, per quelli che stanno in basso, concessioni o carità. Senza uguaglianza, ciò che è giustizia per i primi è ingiustizia per i secondi. Senza uguaglianza, la solidarietà si trasforma in invidia sociale. Senza uguaglianza, le istituzioni, da luoghi di protezione e integrazione, diventano strumenti di oppressione e divisione. Senza uguaglianza, il merito viene sostituito dal patronaggio; le capacità dal conformismo e dalla sottomissione; la dignità dalla prostituzione. Nell' essenziale: senza uguaglianza, la democrazia è oligarchia, un regime castale. Quando le oligarchie soppiantano la democrazia, le forme di quest' ultima (il voto, i partiti, l' informazione, la discussione, ecc.) possono anche non scomparire, ma si trasformano, anzi si rovesciano: i diritti di partecipazione politica diventano armi nelle mani di gruppi potere, per regolare conti della cui natura, da fuori, nemmeno si è consapevoli. Questi rovesciamenti avvengono spesso sotto la copertura di parole invariate (libertà, società, diritti, ecc.). Possiamo constatare allora la verità di questa legge generale: nel mondo della politica, le parole sono esposte a rovesciamenti di significato a seconda che siano pronunciate da sopra o da sotto della scala sociale. Ciò vale a iniziare dalla parola "politica": forza sopraffattrice dal punto di vista dei forti, come nel binomio amico-nemico; oppure, dal punto di vista dei deboli, esperienza di convivenza, come suggerisce l' etimo di politéia. Un uso ambiguo, dunque, che giustifica la domanda a chi parla di politica: da che parte stai, degli inermi o dei potenti? La ricomposizione dei significati e quindi l' integrità della comunicazione politica sono possibili solo nella comune tensione all' uguaglianza. * * * Ritorniamo alla questione iniziale, se sia in corso, o se si sia già realizzato, un cambiamento di regime, dal punto di vista decisivo dell' uguaglianza. In ogni organizzazione di grandi numeri si insinua un potere oligarchico, cioè il contrario dell' uguaglianza. Anzi, più i numeri sono grandi, più questa è una legge "ferrea". E' la constatazione di un paradosso, o di una contraddizione della democrazia. Ma è molto diverso se l' uguaglianza è accantonata, tra i ferri vecchi della politica o le pie illusioni, oppure se è (ancora) valore dell' azione politica. La costituzione - questa costituzione che assume l' uguaglianza come suo principio essenziale - è in bilico proprio su questo punto. Noi non possiamo non vedere che la società è ormai divisa in strati e che questi strati non sono comunicanti. Più in basso di tutti stanno gli invisibili, i senza diritti che noi, con la nostra legge, definiamo "clandestini", quelli per i quali, obbligati a tutto subire, non c' è legge; al vertice, i privilegiati, uniti in famiglie di sangue e d' interesse, per i quali, anche, non c' è legge, ma nel senso opposto, perché è tutto permesso e, se la legge è d' ostacolo, la si cambia, la si piega o non la si applica affatto. In mezzo, una società stratificata e sclerotizzata, tipo Ancien Régime, dove la mobilità è sempre più scarsa e la condizione sociale di nascita sempre più determina il destino. Se si accetta tutto ciò, il resto viene per conseguenza. Viene per conseguenza che la coercizione dello Stato sia inegualmente distribuita: maggiore quanto più si scende nella scala sociale, minore quanto più si sale; che il diritto penale, di fatto, sia un diritto classista e che, per i potenti, il processo penale non esista più; che nel campo dei diritti sociali la garanzia pubblica sia progressivamente sostituita dall' intervento privato, dove chi più ha, più può. Né sorprende che quello che la costituzione considera il primo diritto di cittadinanza, il lavoro, si riduca a una merce di cui fare mercato. Analogamente, anche l' organizzazione del potere si sposta e si chiude in alto. L' oligarchia partitica non è che un riflesso della struttura sociale. La vigente legge elettorale, che attribuisce interamente ai loro organi dirigenti la scelta dei rappresentanti, escluso il voto di preferenza, non è che una conseguenza. Così come è una conseguenza l' allergia nei confronti dei pesi e contrappesi costituzionali e della separazione dei poteri, e nei confronti della complessità e della lunghezza delle procedure democratiche, parlamentari. Decidere bisogna, e dall' alto; il consenso, semmai, salirà poi dal basso. E' una conseguenza, infine, non la causa, la concentrazione di potere non solo politico ma anche economico-finanziario e cultural-mediatico. L' indipendenza relativa delle cosiddette tre funzioni sociali, da millenni considerata garanzia di equilibrio, buon governo delle società, è minacciata. Ma il tema delle incompatibilità, cioè del conflitto di interessi, a destra come a sinistra, è stato accantonato. La causa è sempre e solo una: l' appannamento, per non dire di più, dell' uguaglianza e la rete di gerarchie che ne deriva. Qui si gioca la partita decisiva del "regime". Tutto il resto è conseguenza e pensare di rimettere le cose a posto, nelle tante ingiustizie e nelle tante forzature istituzionali senza affrontare la causa, significa girare a vuoto, anzi farsene complici. Nessun regime politico si riduce a un uomo solo, nemmeno i "dispotismi asiatici", dove tutto sembrava dipendere dall' arbitrio di uno solo, kahn, califfo, satrapo, sultano, o imperatore cinese. Sempre si tratta di potere organizzato in sistemi di relazioni. Alessandro Magno, il più "orientale" dei signori dell' Occidente, perse il suo impero perché (dice Plutarco), mentre trattava i Greci come un capo, cioè come fossero parenti e amici, «si comportava con i barbari come con animali o piante», cioè meri oggetti di dominio, «così riempiendo il suo regno di esìli, destinati a produrre guerre e sedizioni». Sarà pur vero che comportamenti di quest' ultimo genere non mancano, ma non vedere il sistema su cui si innestano e li producono significa trascurarne le cause per restare alla superficie, spesso solo al folklore. - GUSTAVO ZAGREBELSKY

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mercoledì 17 dicembre 2008

In nome della parità tra i sessi: donna partorirai nel dolore e lavorerai fino a 65 anni, di Carmen Marini

Bene, volete la parità? allora in pensione a 65 anni come gli uomini. Questo e quello che ci dicono i nostri governanti (e non solo) da qualche tempo a questa parte.
Con un semplice…decreto, cancelliamo tutte le disparità.
Ho paura che l’idea di cancellare le disparità attraverso l’adeguamento della ” vita” delle donne alla “vita” degli uomini sia l’ennesimo inganno di una società a “misura d’uomo”, che non vuole capire che non di parità fra i sessi si deve parlare ma di diritti della differenza. Forse che le libertà conquistate negli anni settanta non sono ancora state digerite? Direi proprio di si e si vede.
Vogliamo cancellare la (libera) maternità, la cura che le donne dedicano alla famiglia, ai figli, alle persone svantaggiate che hanno vicino, agli anziani, agli uomini che hanno accanto, e al loro diritto di un lavoro anche fuori casa, con un decreto? Vogliamo dire che le donne devono essere uguali agli uomini nonostante i dati confermino che la disoccupazione e gli stipendi delle donne siano notevolmente inferiori? Vogliamo dire che le donne sono uguali agli uomini quando sono semplicemente “fuori” da tutti gli organismi di potere o, quando ci sono, fanno decorazione. Per favore a questo punto eviterei l’esercizio di nominare quelle tre o quattro donne che nel mondo si fanno interpreti di poteri al maschile.
Vogliamo rendere le donne pari agli uomini nel momento dell’uscita dal lavoro e del ” prima “chi se ne occupa? durante la propria vita ogni donna dedica alla cura della casa mediamente 5 ore a fronte di 1 degli uomini, sposata o non sposata, cosa per altro di cui andiamo fiere. La donna, se sola, ha più difficoltà a trovare lavoro e casa, per arrivare a dati più gravi che ci dicono che la prima causa di morte per le donne è la violenza subita da mariti compagni, famigliari, conoscenti, sconosciuti o ex. Vogliamo negare gli effetti del patriarcato? Vogliamo dire: scusate, ci dispiace, basta, abbiamo scherzato e con un colpo di spugna cancellare tutto quello che la storia e la religione hanno fatto subire alle donne?
Non mi sembra.
Nell’ultima finanziaria si sono tolti i soldi per il piano nazionale contro la violenza alle donne, i soldi per gli asili nido, i fondi per il sostegno all’imprenditoria femminile.
Non c’è nessuna volontà di riconoscere il lavoro di cura che le donne quotidianamente svolgono in quella famiglia tanto “decantata” ma che noi donne dobbiamo dire: tanto sconosciuta e abbandonata.
Poi d’un tratto sentiamo parlare di parità, ma è un sogno.
Svegliamoci, presto, la caccia alle streghe è dietro l’angolo.



lettera pubblicata dalla Gazzetta di Reggio Emilia il 16-12-2008

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lunedì 15 dicembre 2008

Auguri a chi crede ... (ovvero: i nostri auguri)

auguri a chi crede che donne e uomini abbiano gli stessi diritti
auguri a chi crede che non ci sia pace senza giustizia sociale
auguri a chi crede che la vita debba essere felice “in terra”
auguri a chi crede che la famiglia sia dove c’è amore e rispetto
auguri a chi crede che offendere la dignità delle persone sia “peccato”
auguri a chi crede che non dare casa e lavoro a chi non ha nulla , sia peccato
auguri a chi crede che non “vedere” le mafie sia peccato
auguri a chi crede che la guerra sia peccato e non sia mai “giusta”
auguri a chi crede che ribellarsi alle ingiustizie sia un dovere di tutti gli individui
auguri a chi crede che pensare solo al proprio interesse sia peccato
auguri a chi crede che sia possibile non credere in nessun dio

auguri a chi cerca di vivere nella giustizia e nella pace,
qui e ora, per sé e per gli altri!!!

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sabato 13 dicembre 2008

Prova video live con mogulus

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venerdì 5 dicembre 2008

da "L'informazione di Reggio" di Domenica 30 novembre '08




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Video relativi giornata del 29.11.08: Giornata mondiale contro la violenza alle donne

Reggio Fahrenheit e NONDASOLA
GIORNATA MONDIALE
CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE
pubblica lettura: Testimonianze e racconti sulla violenza alle donne
29 Novembre 2008
presso la sala mostre al primo piano di Piazza Casotti - Reggio Emilia
(approfittimo per ringraziare l'Associazione Italiana del Punto a Croce per avere acconsentito al passaggio dalla mostra per ragginugere il primo piano di P.zza Casotti)
le riprese sono di Piera V.
video n.1 (Carmen):

video n.2: Antonietta

video n. 3: Fiorella, Deliana, Antonella , Clelia

video n. 4: Annamaria, Claudia, Adriana

video n.5: Giuseppe, Lena, Vanna, Dino

video n.6: Enzo, Marco, Lorenzo

video n. 7: Ethel, Stefano

video . n.8: Nilla, Luciano, ..., ...

video n.9: Mariella, Adriana, Annusca, Marco

video n.10 (ultimo): Claudia, Clelia, Adriana, Atos, Adil

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Questo è il blog di Reggio Fahrenheit

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