mercoledì 30 settembre 2009

Europa, la sinistra smarrita

di Paolo Flores d'Arcais, da il Fatto Quotidiano, 29 settembre 2009, apparso anche su Micromega
Il Partito socialdemocratico tedesco ha subito domenica un vero e proprio tracollo. Commentatori e politici fingono di interrogarsi sul “perché?”, e allargano pensosamente l’orizzonte al declino dei partiti di “sinistra” in atto da tempo nell’intera Europa. Fingono, perché mai spiegazione fu più lapalissiana e sotto gli occhi di tutti. La “sinistra” perde in Europa, puntualmente e sistematicamente, perché da tempo ha smesso di essere di sinistra. Da tempo ha smesso di fare della eguaglianza la sua bandiera, la sua bussola, la sua strategia. E dire che la realtà economica e sociale non fa che offrire alimento ad una battaglia sempre più sacrosanta e doverosa per ogni persona minimamente civile: una generazione fa la distanza, nella stessa azienda, fra il reddito di un operaio e quello del super-manager poteva essere di 1:30, 1:40 (una enormità). Oggi tocca tranquillamente la cifra, esorbitante e mostruosa, di uno a trecento o quattrocento. Ma ci sono casi non rari in cui viene superato il rapporto uno a mille.

La sinistra, intesa come socialdemocrazia, si sta avvitando in un declino rapido e galoppante perché è sempre più indistinguibile dalla destra, questa è l’ovvia verità. E dovendo scegliere tra due destre, una dichiarata coerente e orgogliosa dei suoi “valori”, l’altra titubante e ipocrita, che qui lo dice e qui lo nega, l’elettore reazionario o il mitico “moderato” che sogna un futuro di privilegio, sceglierà ovviamente la prima, mentre l’elettore democratico finirà per restare a casa – dopo due o tre “ultime volte” in cui ha volenterosamente votato tappandosi il naso. Eppure i commenti di tutti i dirigenti del Partito democratico ai risultati delle elezioni tedesche non fanno che ripetere la giaculatoria d’ordinanza: attenti a non ascoltare le sirene estremiste (sarebbe Lafontaine!), non dobbiamo rinunciare alla “cultura di governo”, l’unica anzi che alla lunga ci farà vincere (“nel lungo periodo saremo tutti morti” ammoniva il grande Keynes. Anche lui estremista, evidentemente).

Giaculatoria masochista, con la quale la “sinistra” non vincerà mai più, ma giaculatoria obbligata, perché ammanta di nobiltà (“cultura di governo”) la realtà mediocre e spesso sordida di una nomenklatura (nazionale e locale) totalmente succube dell’establishment e pronta a difenderne gli interessi, garantirne i privilegi e financo soddisfarne i capricci – e soprattutto le illegalità - anziché riequilibrare radicalmente redditi e potere a vantaggio dei meno abbienti.
Perché non è affatto vero che in Europa la sinistra sia sconfitta, e non è stato vero neppure in Germania domenica scorsa. I voti di Spd, Die Linke, Verdi e “Pirati” equivalgono e forse superano la somma dei suffragi cristiano-democratici e liberali. L’elettorato per un’alternativa alla signora Merkel ci sarebbe, insomma. E in Francia è bastato che Dany Cohn-Bendit inventasse un nuovo e credibile partito ecologista per ottenere alle europee un risultato equivalente a quello del declinante Partito socialista.

Perché dunque i partiti socialdemocratici perseverano nella politica diabolica che li sta portando all’estinzione, anziché mettersi a disposizione delle istanze di “giustizia e libertà” che percorrono massicciamente le società civili della vecchia Europa? Perché non colgono l’occasione di una crisi drammatica, colpevolmente prodotta dai padroni della finanza e governi complici, per guidare le masse nell’imporre all’avidità sfrenata e inefficiente delle classi dirigenti un sacrosanto redde rationem?

Perché hanno smesso da tempo di “rappresentare” forze popolari, e istanze di critica ai privilegi (sempre più smisurati) e all’establishment. Perché di quell’establishment sono parte integrante, benché subalterna, perché aspirano solo a partecipare alla torta di quei privilegi, anziché a sostituirvi un agape più fraterno. Perché sono casta, partitocrazia autoreferenziale, e di conseguenza strutturalmente incapaci di indicare nei nemici dell’eguaglianza i propri nemici. Ma senza indicarli, senza proporre misure che colpiscano i finanzieri della speculazione, e gli imprenditori che “delocalizzano” (cioè licenziano in patria per iper-sfruttare con profitti iperbolici nei paesi più poveri), e il dilagare dell’intreccio corruttivo-politico-criminale (le mafie ormai impazzano, dagli Urali alla penisola iberica), senza rilanciare il welfare tassando i più ricchi, la socialdemocrazia non solo non fa più politica ma è ormai morta.

Si tratta di seppellirla al più presto nella consapevolezza degli elettori, perché lo zombie di quella che fu una sinistra è oggi l’ostacolo maggiore alla nascita di nuove organizzazioni di “giustizia e libertà”.
Tentare di riformare le socialdemocrazie è una perdita di tempo. Cercare di “superarle” in una sintesi con pulsioni e illusioni “centriste” è ancora peggio, una dissipazione di energie democratiche e di passione civile. Le lezione ripetuta e convergente che da anni viene dalle urne elettorali in Europa dice invece che è maturo il momento per dare al bricolage politico dei movimenti di opinione una forma organizzativa, autonoma dai partiti, capace di non riprodurne i difetti e le derive di omologazione. Tanto più in Italia, dove sponde ecologiste o alla “die Linke” sono state cancellate definitivamente dalla corriva nullità dei gruppi dirigenti.

(29 settembre 2009)

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martedì 29 settembre 2009

La paura degli uomini (una recensione)

di Clelia Mori
T’imbatti in un titolo che recita:“La paura degli uomini”, e ti accorgi che ce l’avevi già dentro e che c’era proprio bisogno di trovarlo squadernato nella copertina di un libro per tirartelo fuori. A priori, rispetto al testo, ti chiede di scegliere se stare con lui o no.
Letizia Paolozzi e Alberto Leiss sono gli autori del libro. Edito a fine agosto dal Saggiatore è stato già presentato al Festival della Letteratura di Mantova in un affollatissimo incontro. I due, nel loro pamphlet, inseguono con passione in giro per il mondo tutte le notizie che possono sostenere la loro tesi: la paura degli uomini.


Finalmente una donna e un uomo della differenza, mi mettono, ma insieme, il dito nella piaga della “questione”, quella che sembra innominabile, indicibile quando si parla di uomini con quasi tutti gli uomini, specialmente con quelli di potere e le loro donne: la “questione maschile”.
Quella che se non si muove blocca il cammino del mondo. Quella che le donne muovendosi faranno muovere comunque.
E’ questa una delle più intime e solide convinzioni alla base del loro libro, ma scopro con piacere anche mia. E già ci sono le pioniere di questo movimento, dicono i due autori, perfino nelle stanze del potere occidentale, a partire dalla Francia e dagli USA e per ragioni opposte in Italia. In un tourbillon di fatti che cercano di decifrare…
Ma dichiarano anche con serafica sicurezza che se: “Le donne sono cambiate. Dovranno cambiare anche gli uomini.”e che “dietro l’avanzata delle donne c’è il femminismo.” Batto le mani.
Mi conforta questa loro predizione e questa loro sicurezza. Mi rincuora sulla nebulosità del futuro, perché mi spinge a pensare di più al cammino di libertà fatto dalle donne piuttosto che guardare al loro essere vittima del lato oscuro del maschile. Magari senza chiederne conto come donne o senza nominarlo come paura degli uomini.
Che è il tema per me oggi: della politica, del potere e della relazione tra maschi e femmine.
E scrivono la fulminante frase sul dovere maschile del cambiamento già a conclusione dell’introduzione. Tutto il loro libro sembra scritto per dimostrare la verità di questa predizione. Una sicurezza che non gli deriva solo dal forte desiderio personale di una relazione finalmente differente tra uomini e donne, rispetto ai clichè dei ruoli. Ma anche dallo spulciare costantemente nella cronaca quotidiana degli ultimi decenni le affermazioni del loro assunto, lasciandole il meno possibile al caso o ad una lettura di potere maschile o univoca. Con un setaccio a maglia fine trasformano in realtà, alla conclusione del libro, quello che poteva essere il loro pre concetto di partenza. E vi riescono proprio grazie a questo lavoro puntuale, perfino pignolo, di ricerca, nei diversi ambiti geografici, dei sintomi della paura maschile al distendersi della libertà femminile.
Setacciano le notizie in lungo e in largo, con una dovizia di informazioni da far persino girar la testa.
Credo lo abbiano fatto per riuscire a capire quanto questa paura di cambiare per gli uomini sia davvero data da un loro inconscio misconosciuto, che ancora li confonde fino a negarlo piuttosto che affrontarlo. Invece che da un’analisi maschile attenta ad una realtà che, nei fatti descritti anche dal libro, potrebbe essere già in cammino tra gli uomini.
Sono notizie importanti quelle riunite nel testo, perfino storiche ma ve ne è pure una miriade che nel giornalismo nostrano non trovano spazio significativo e che questi due giornalisti raccolgono con cura certosina per leggere in modo differente la realtà del maschile e del femminile.
E’ un o il giornalismo della differenza?
Non lo so. So solo che hanno usato un metodo (che paga) e che le donne delle differenza utilizzano da tempo per cercare tra le pieghe del quotidiano una realtà rivelatrice di altro che si tende o si vuole far scomparire. Ed è un metodo che, visto il libro, serve bene anche a quel giornalismo che vuole cercare di osservare il mondo in modo non convenzionale. Quando accade che la cronaca si scopre, si sveglia e racconta il conto che la realtà le presenta. Quello della miopia del potere che è insieme la paura degli uomini, pubblici o privati e di qualsiasi pulpito, nella relazione con le donne.

Stupisce un poco in questo libro, scritto a quattro mani da un uomo e una donna, la loro sintonia nella scrittura. Una sintonia che non permette di capire chi ha scritto il capitolo sul ritorno della religione piuttosto che la battaglia sul corpo femminile o il lavoro e la vita o la nostra violenza quotidiana o il conclusivo un mondo per due. Che sia una prefigurazione già nella loro scrittura di un nostro futuro modo di relazionarci tra uomini e donne? Trovando un’unità d’intenti a partire dalle nostre parziali differenze? Non lo so, ma voglio sperare sia il frutto della loro ricerca sulla differenza e sulla parzialità.
Insieme e differenti, attraversano le nostre tensioni quotidiane, nella società, in famiglia, nella vita, nel lavoro e nella religione, coniugando pubblico e privato, senza dimenticare di leggerle incrociandole con il punto di vista femminile e con quello maschile.
Certo verrebbe la voglia di sapere che differenza c’è tra i loro sguardi sessuati. Ma forse il loro comune e lungo lavoro all’Unità, nelle pagine di “L’una e l’altro” e poi su Donnealtri.it - il sito sulla differenza che gestiscono da diversi anni con altre giornaliste- l’ha reso superfluo perfino a loro stessi.
Comunque nel cercare di illuminare il cono d’ombra della paura degli uomini, non hanno certo dimenticato i dati salienti che hanno portato le donne al loro insopprimibile desiderio di libertà. Riconoscendo, tra gli altri, al bistrattato ’68 di essere uno dei momenti cardini per l’inizio maturo della riflessione femminista nel mondo. E se lo è stato per le donne, rileggendo l’imput dei due autori alla luce della differenza, forse lo dovrà essere anche per gli uomini che “dovranno cambiare” per non rimanere incastratiti dalle macerie di quel “ patriarcato” che “vacilla”, profetizzato dalle femministe già alla fine del secolo scorso, grazie proprio alle riflessioni nate dal ’68.
Insomma credo che questo libro sia stato pensato per dare corpo alla speranza. A partire dal suo titolo che sposta decisamente l’ottica con cui guardare al femminile che non è la paura delle donne ma la paura degli uomini.
E oggi scopro nella lettera che avvisa dell’annuale seminario delle filosofe di Diotima all’università di Verona che è un libro da loro consigliato. Perché il loro tema è: alleanze e conflitti nel mondo comune di donne e uomini. E credo che se non si capisce la paura degli uomini non ci si schioda.

Clelia Mori
27.9.09


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Donne e libertà di stampa

di Clelia Mori
C’è qualcosa che mi suona strano, in questo paese, sull’indignazione per la libertà di stampa in pericolo che finalmente è riuscita a riunire gli uomini dell’opposizione dopo il vuoto, il silenzio e l’incertezza che hanno dimostrato, durante tutta l’estate, sui temi che riguardano la maniera di pensare le donne, la loro libertà e la loro storia, anche femminista, sulle questioni del signor B.

Improvvisamente sulla libertà di stampa c’è stato un coagulo maschile che è riuscito a farli emergere da un’apatia politica che rasentava la palude. Con gli uomini stranieri che invece vedevano in pericolo molto del nostro mondo democratico e del loro, nel mantenere quei silenzi imbarazzati sulle vicende del nostro capo del governo.

Addirittura, mi pare che ora stiamo facendo un santino del signor Boffo, che se pur è una vittima di B, non è l’unica. Tra le sue vittime, se il termine da mantenere è quello, c’è anche una certa idea di donna: quella libera che pensa e quella quotidiana di molti corpi femminili senza ruoli altisonanti.
Ma non ho avvertito particolare scandalo per questo nell’opposizione.

Donne importanti sui giornali, a cui solo alcune hanno accesso, hanno detto che le donne tacciono perché non hanno fatto subito quello che loro avrebbero voluto: andare in piazza. Altre su questo hanno aggiunto addirittura che la rivoluzione femminista è interrotta. Un luminare della scienza, fidandosi del fatto che ha lavorato una vita contro i tumori delle donne, si è dato il compito di dire alle donne che occorreva un nuovo femminismo, facendo morire il primo, e qualcun altro importante chiedeva, ancora all’origine della cosa, dove sono le femministe.

Insomma quando si è parlato, si è montato uno scandalo sul femminile e non sul maschile, la sua sessualità e la sua idea del potere. Si è fatto diventare il mondo di alcune, anche televisivo e politico, il mondo di tutte e l’atteggiamento maschile di un capo del governo un fatto quasi privato e quindi di tutti gli uomini, come se tutti fossero anche capo del governo e la sua relazione col femminile fosse la relazione tout court, tra donne e uomini in Italia. E con la democrazia.
Ma la democrazia ha una misura della sua qualità solo con lo stato di salute della libertà di stampa o anche con lo stato di salute della libertà e della dignità delle donne, in relazione al potere ovviamente?
Mi pare che le due condizioni di salute, da noi, non vadano insieme. Sulla libertà di stampa c’è stata una giusta reazione immediata, sul resto siamo ancora in alto mare. Finalmente Franceschini ha trovato un nome alla manifestazione che da tempo si riprometteva di fare ma che non nasceva, anche se di carne al fuoco ce n’era molta. Contemporaneamente la libertà femminile, così pesantemente messa in discussione dal potere e dai media privati, è stata sfilata dal dibattito estivo e mi pare che ora sia rimasto molto attivo solo il tema della libertà di stampa.

Ufficialmente quindi, ancora una volta, di tutto lo scandalo sessuale e politico della nostra estate si sono colpevolizzate le donne, solo loro…
Il disagio maschile, che in alcuni c’è per l’atteggiamento del signor B, non ha coagulato nessun pensiero comune agli uomini dell’opposizione. Solo l’attacco alla libertà di stampa è riuscito a smuoverli santificando Boffo come martire della libertà, di stampa. Come se lui, per tutta la sua carriera giornalistica, non avesse fatto quello che il suo editore gli chiedeva: stoppare e impedire i percorsi di libertà femminile nella gestione dei tempi della sua riproduzione e negare la sapienza delle donne nel dare la vita. E’ come se avesse, invece, sempre difeso le libertà e la sapienza di tutti/e. Difendendo così anche la libertà, compresa quella di stampa.

Credo non si legga o non si voglia leggere o ci si dimentichi che quello che è accaduto alla libertà di stampa è successo perché le donne hanno parlato - e non erano né in silenzio né all’interruzione del femminismo - a partire dalla Lario, scoperchiando un disagio del potere maschile che non si vuole vedere, pur essendo sotto gli occhi di tutti. Non è Boffo che ha parlato contro B, sono state le donne e Boffo non ha più potuto tacere. Pressata dalle e dai fedeli, qualcuno per la Chiesa doveva pur parlare, se voleva salvare capra e cavoli. Forse hanno fatto parlare lui, non lo sapremo mai. Forse volevano sacrificarlo.

Ora basterà uno spostamento al centro del Vaticano e una dimostrazione di fedeltà di B sul testamento biologico perché tutto lo scandalo sulla mala sessualità del potere rientri nella Chiesa e nel Paese? Confermando con forza l’idea pubblicitaria della donna oggetto, pur sapendo che le donne non sono così nella maggioranza, e che il potere attuale è in grado di legiferare solo con giochi di scambio?
Ma tant’è: a noi come opposizione quando si parla di libertà, basta quella di stampa.

E’ questo quello che non riesco a dimenticare quando si vuole difendere la libertà di stampa: non c’è una libertà che vale più di un’altra e nel caso di quella femminile. Anzi, forse il nocciolo sta nel contrario.
La stampa, secondo me, sarà sempre in pericolo, perché è nella gestione monca del potere maschile il pericolo istituzionale più grande per la democrazia che Luce Irigaray dice: comincia a due. Il pericolo è nel silenzio dei suoi uomini sulla loro relazione col sesso e col potere, magari anche quello di dare la vita. E’ questo che mette in crisi anche la libertà della stampa.
E il tutto nasce dalla volontà di non vedere quella delle donne.

Mi chiedo fino a quando gli uomini continueranno a far politica sulla loro idea di possesso del corpo delle donne e quando cominceranno a far politica senza bisogno di paraventi femminili che li stimolino, ma da negare subito dopo perché troppo inquietanti?
Non vorrei che la libertà di stampa fosse un altro strumento per velare delle incapacità politiche; stavo per dire delle impotenze, ma se impotenze certamente a largo raggio…

Clelia Mori

7.9.9

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Firma anche tu per la libertà di stampa!

Oltre 400mila firme sono state raccolte all'appello dei tre giuristi in favore della libertà di stampa e contro la querela di Silvio Berlusconi nei confronti di Repubblica, 'colpevole' secondo il premier di aver fatto dieci domande retoriche e diffamanti.
Un'iniziativa che sta avendo grande successo in vista della manifestazione del 3 ottobre a piazza del Popolo, a Roma. LEGGI E GUARDA ANCHE

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lunedì 28 settembre 2009

Appello della FNSI per la manifestazione del 3 Ottobre!!

"la Fnsi rivolge un appello a tutte le forze sociali, sindacali,
associative e a tutte le cittadine e i cittadini, affinché senza distinzione di parte o di schieramento, vogliano raccogliere questo invito e partecipare a questa grande iniziativa.
La manifestazione si propone, in primo luogo, di rafforzare e di tutelare i valori racchiusi nell’articolo 21 della Costituzione e il diritto inalienabile di ogni cittadino alla conoscenza, alla informazione completa e plurale e alla comunicazione, che per essere tale non può subire forma alcuna di bavaglio.”
per adesioni ed informazioni:
segreteria.fnsi@fnsi.it
infofnsi@tin.it
Reggio Fahrenheit ha già aderito e cercherà di trasmettere la diretta della manifestazione!!!

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sabato 26 settembre 2009

The politics of kissing - "Berlusconi è in fondo alla lista dei baci di Michelle", titola il Daily Telegraph di Londra

"Berlusconi è in fondo alla lista dei baci di Michelle", titola il Daily Telegraph di Londra, pubblicando l'intera sequenza fotografica e un ampio servizio a pagina 3. "Il premier italiano, noto per le sue gaffe e per essere un cacciatore di donne, si vede negare il bacio di benvenuto che la first-lady ha concesso agli altri leader del G20", recita il sottotitolo. "Mentre la signora Obama ha scambiato baci e abbracci con i Brown, i Sarkozy, i Medvedev e con Angela Merkel, ella è apparsa riluttante ad avvicinarsi troppo al signor Berlusconi", afferma l'articolo, ricordando che il premier italiano è giunto da solo al vertice perché la moglie ha chiesto il divorzio a causa degli scandali "con call-girls e modelle di biancheria intima" in cui lui è coinvolto. Il giornale rammenta anche che la propensione di Berlusconi per le gaffe ha colpito anche Barack Obama, "memorabilmente definito come giovane, bello e abbronzato" dal capo del governo italiano. Guarda sul telegraf la sequenza delle 16 foto:
The politics of kissing: Michelle Obama hugs Brown, Merkel and Medvedev, but not Silvio Berlusconi

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"Informazione, no al guinzaglio. Diritto di sapere, dovere di informare",


Informazione, NO al guinzaglio.
Diritto di sapere - Dovere di informare
Roma, Sabato 3 Ottobre 2009
Piazza del Popolo
Reggio Fahrenheit aderisce!!



Sono già numerose e aumentano di giorno in giorno le iniziative per sostenere la manifestazione sulla libertà di stampa, in programma in Piazza del Popolo a Roma il prossimo 3 ottobre. "Informazione, no al guinzaglio. Diritto di sapere, dovere di informare", questo lo slogan scelto dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Inizialmente prevista per il 18 settembre, l'iniziativa era stata rinviata in seguito all'attentato di Kabul.

Perché manifestare. "Non è la prima volta che è stata necessaria la mobilitazione - scrive la Fnsi - ma oggi stiamo vivendo un attacco senza precedenti: disegni di legge bavaglio, azioni forti in sedi giudiziarie, continue invettive pubbliche dei potenti, a cominciare dal premier, contro giornali e giornalisti, considerati non graditi. Ogni ferita che il sistema dei media subisce determina un forte contraccolpo alla libertà di tutti. Sosteniamo i principi e i valori dell'articolo 21 della Costituzione e tuteliamo il diritto inalienabile di ogni cittadino a un'informazione libera, completa e plurale".

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venerdì 25 settembre 2009

Robinson Crusoe e la finta economia

di Laura Pennacchi, da L'Unità on line
Nella polemica che ancora di recente è tornata a dividere il ministro Tremonti dagli “economisti” (accusati di non aver saputo prevedere la drammatica crisi economica in corso), c’è qualcosa di importante che l’uno e gli altri sottovalutano. Si tratta di questo: la crisi, le cui gravi conseguenze occupazionali stanno adesso emergendo chiaramente, non parla solo di se stessa ma di un intero modello di sviluppo che mostra oggi tutta la sua fragilità e che si sta esaurendo. È un complessivo paradigma economico che va ripensato dalle fondamenta.

Questo bisogno di andare al cuore della vicenda odierna è oscurato tanto dalla supponenza («chi pensa non ha bisogno di un pensatoio») con cui Tremonti mira a coprire la sostanziale inerzia del governo in politica economica – confermata dalla totale assenza di respiro progettuale della Finanziaria di settembre –, tanto dalle argomentazioni a propria discolpa a cui amano ricorrere soprattutto gli economisti più vicini all’ortodossia dominante. I quali hanno un bel dire che èda trent’anni che essi studiano i fallimenti dei mercati finanziari, le bolle speculative, le asimmetrie informative, le crisi di liquidità. Il punto è che tutte queste cose sono state da essi studiate come imperfezioni, frizioni, deviazioni, shock esogeni di modelli di mercato che si pensava immuni da incertezza e instabilità e in grado di correggersi da soli.

A far trovare particolarmente sguarniti alla bisogna è stata poi la marginalizzazione di punti di vista diversi e di programmi di ricerca alternativi provocata proprio dal dogmatismo con cui l’ideologia neoliberista si è affermata nella scienza economica standard. E questo chiama in causa le responsabilità degli economisti ben al di là della loro incapacità di previsione. Quello che va ripensato è il paradigma della main stream economics, la quale si è proposta, più che come “strumento d’interpretazione della realtà”, come “supporto di visioni del mondo molto orientate”, escludendo fenomeni significativi di squilibrio e rendendodifficile la comprensione del ruolo dei meccanismi finanziari, visioni in cui i mercati sono supposti intrinsecamente stabili, con deviazioni solo temporanee, e in cui gli agenti economici agiscono come omogenei Robinson Crusoe, ignari tanto della profonda instabilità, quanto della larga eterogeneità e della estesa interazione tra attori, come invece avviene nel mondo economico reale. Ciò ha coinvolto anche e soprattutto i mercati del lavoro, a priori modellizzati in modo irrealistico allo scopo di introdurvi “frizioni” e “imperfezioni” da cui inferire implicazioni di elevata flessibilità, salariale e in entrata e in uscita, e di contrasto del potere sindacale. E in effetti l’alterazione delle regole di funzionamento del mercato si è rivelata una causa decisiva dello spostamento nella distribuzione del reddito, motore cruciale della attuale crisi.

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giovedì 24 settembre 2009

Finanziaria anti-italiana

di Galapagos, da Il Manifesto

«L'opposizione è antitaliana: fa il tifo per la crisi economica», ha sentenziato Berlusconi. In realtà, chi è antitaliano e non fa nulla per combattere la crisi è proprio il suo governo. E le ultime cifre fornite dall'Istat lo confermano: nel secondo trimestre, in Italia, sono stati distrutti 378 mila posti di lavoro su base annua, il 70% nel Mezzogiorno. Ma al sud non c'è corrispondenza tra persone licenziate e chi è in cerca di occupazione: solo il 10% dei licenziati si è aggiunto al numero dei disoccupati, il 45% del totale dell'Italia. È un brutto segnale: aumenta la popolazione inattiva, di chi non cerca un lavoro perché sa di non poterlo trovare; di chi si rifugia nell'unica possibilità offerta dal mercato. Cioè il lavoro nero.

Il boom della disoccupazione non è fenomeno solo italiano. Ma c'è un dato, da noi, che colpisce: il tasso di occupazione è sceso al 57,9%, un livello inferiore di quasi 10 punti a quello (67,3%) dell'Eurozona e di 8 punti a quello della Ue a 27. A produrre ricchezza sono in pochi e così la crescita sarà sempre più stentata e basata sull'ipersfruttamento di una porzione sempre più piccola della popolazione. Senza contare che il dato sull'occupazione è un po' truccato, anche se non per colpa dell'Istat. Tra chi lavora sono compresi i cassintegrati. Nel secondo trimestre, in questa condizione c'era l'equivalente di 341 mila lavoratori a tempo pieno. Quanti di loro nei prossimi mesi saranno reintegrati? A stare alle notizie di questi giorni, pochi. Anzi, il numero è destinato a salire, mentre il reddito da lavoro scenderà.
In questa ottica, la «snella» Finanziaria presentata ieri fa proprio schifo, è contro l'Italia che lavora. Di più: viste le generosissime modifiche alla legge sullo scudo fiscale, il tutto sarà accompagnato da un nuovo regalo per gli evasori. Con la promessa che tutti i soldi che arriveranno dal nuovo condono saranno utilizzati per il lavoro. Saremo costretti a fare il tifo per chi, con bilanci falsi o con più vasta evasione fiscale, ha portato soldi all'estero? In questi giorni sono abbondanti le notizie di fabbriche in lotta per la sopravvivenza, di lavoratori sui tetti per evitare licenziamenti di massa. Berlusconi ordina di non parlare più di gossip, ma almeno parliamo della crisi e della vita di milioni di persone. Ma la cosa, oltre che a Berlusconi sembra interessare poco anche ai media.
La crisi morde ferocemente e non è un'invenzione della sinistra. La disoccupazione aumenterà: lo ammette anche Obama. Invece, con Berlusconi e Tremonti, prima la crisi non esisteva e oggi si parla già della ripresa. Che purtroppo taglierà fuori il lavoro e la possibilità di una ripresa dei consumi. Ovviamente solo quelli dei ceti meno abbienti. Per i quali questo governo nulla ha fatto, a parte un po' di elemosina. Ma la responsabilità non è solo di Tremonti: prima di lui era stato Padoa Schioppa a negare «4 euro» ai lavoratori sacrificati sull'altare dei conti pubblici. Se all'inizio dello scorso anno fossero stati allargati i cordoni della cassa, oggi la crisi non sarebbe così grave. E se Tremonti, anziché fare il gioco delle «tre carte» con i fondi Fas, li avesse impiegati per dare lavoro al sud, oggi ci sarebbero meno disoccupati e meno malessere sociale.

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martedì 22 settembre 2009

La discussione politica “al tempo del colera”, ovvero i giornali locali e le imminenti regionali

di Leonardo Angelini

Da qualche tempo quando la mattina vado in edicola mi ritrovo di fronte alle manchettes pubblicitarie dei giornali locali che sparano i titoli più incredibili su ciò che accade in città: l’altro giorno c’era anche la “notizia” di un assalto di due bambini di tre anni ai danni di un loro coetaneo in una scuola materna.

Si ripete ciò che ormai accade da oltre 15 anni nell’imminenza di ogni elezione; ed anzi stavolta la rincorsa è stata presa con largo anticipo. Figuriamoci cosa accadrà fra un po’ di mesi!
Mi sbaglierò, però a me pare scontato che, di questo passo, non sia più possibile parlare e discutere realmente di politica, e che tutto ormai giunga a noi distorto e sotto forma di grida astiose e violente destinate scientemente a far montare in città ed in provincia l’odio di tutti contro tutti.
Forse sto esagerando, ma secondo me ci sono forze politiche che su quest’odio e su questa distruttività stanno costruendo, praticamente indisturbati, una rete di consenso destinata ad avvelenare gli storici pozzi reggiani della democrazia.
Ma, se è e vero anche un quarto di quel che dico, penso che in un clima reso così torbido e respingente ogni luogo di discussione che sorga diventi, oggi a Reggio, un’azione rivoluzionaria.

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giovedì 17 settembre 2009

Siamo due farabutti storici!

http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/politica/farabutti-foto-lettori-60/22.html
Dino e Deliana

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mercoledì 16 settembre 2009

L'Aquila - La libertà d'informazione


da You Tube

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Lo spot oscurato di Annozero

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Assalti Frontali - "IL RAP DI ENEA"

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martedì 15 settembre 2009

Patrizia, Silvio e le altre

di Ida Dominijanni, da Il Manifesto on line: http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2009/mese/09/articolo/1440/

Dopo tutti i racconti sentiti e le interviste lette era rimasta una curiosità per la donna Patrizia D'Addario. Aumentata pochi giorni fa, quando allo show di Berlusconi alla Maddalena lei ha risposto sfidandolo a un confronto diretto «sulle nostre vicende specifiche, sulle tecniche di conquista, sui rapporti uomo-donna, sul sesso e il potere». Quel confronto, va da sé, è inutile aspettarselo (a proposito: non è vero che Patrizia abbia cercato di imbucarsi all'inaugurazione della Fiera del Levante, per incontrare il premier che poi non c'è andato). Qui di seguito ce n'è però qualche ingrediente. Patrizia ha accettato di parlarne, in presenza delle sue avvocate, solo perché eravamo fra donne senza uomini, come nel primo femminismo o come nel film di Shirin Neshat premiato col leone d'argento a Venezia. Non cercavo, e non troverete, rivelazioni ulteriori sui noti fatti di Palazzo Grazioli, né particolari «piccanti», per usare un aggettivo caro al premier. Quello che viene fuori è il ritratto di una donna alquanto diverso da quelli fin qui pervenutici con l'immancabile didascalia «escort di alto bordo». Credevo di trovarmi di fronte a una professionista che rivendica il suo mestiere, invece Patrizia ne parla al passato e senza alcuna fierezza, arriva all'appuntamento in lacrime perché non riesce a iscrivere sua figlia nella scuola che vorrebbe e racconta a mezza bocca una storia violenta di iniziazione alla prostituzione. Mi aspettavo una ragazza-immagine in grado di calcolare e contrattare le sue mosse, invece scopro una donna impigliata nel risarcimento del suicidio di suo padre, e inciampata nella classica illusione femminile di un incontro con una sensibilità maschile rivelatasi invece un bluff, «una finzione reale pura». In presa diretta, altre cose trovano invece conferma. Un sistema di scambio corpo-danaro-potere che a suo dire è più esteso e radicato di quanto si pensi, incardinato su una colonizzazione dell'immaginario femminile che sogna solo comparsate in tv. Un sistema di mercificazione non solo del sesso ma delle relazioni, in cui si pagano come prestazioni le chiacchierate, la compagnia per un viaggio, la bella presenza a un convegno, una serata a teatro: è la prostituzione al tempo del postfordismo. Una virilità ridotta al resto di niente che non ha bisogno di comprarsi solo il sesso ma anche l'ammirazione e la soddisfazione narcisistica, passando sul confine fra ricattabilità sociale e disponibilità sessuale femminile.
Il presidente del consiglio dice che può denunciarti per reati che comportano fino a 18 anni di carcere. Tu ti senti colpevole di qualche reato?
Assolutamente no, che reato avrei commesso?

Umberto Bossi dice che dietro le escort c'è la mafia, che gli rispondi?
Dietro di me non c'è proprio nessuno. Sono sola, più sola di così...e anche prima di questa avventura ero una ragazza sola, che cercava di andare avanti in qualche modo e di mantenere la famiglia. Senza grilli per la testa, come si dice. Hanno scritto che mi piace fare la bella vita, io non ho mai fatto la bella vita. I soldi che guadagnavo mi servivano per pagare i debiti di famiglia, dopo il suicidio di mio padre.
Che facevi negli Stati uniti, prima del suicidio di tuo padre?
L'illusionista e la modella, per un paio d'anni, a Los Angeles. Avevo casa a Hollywood. Adoro gli Stati uniti, la mentalità, l'ambiente artistico.
Lì non facevi la escort?
Assolutamente no, è una cosa che ho fatto per poco tempo. E comunque non corrisponde al ritratto di prostituta d'alto bordo che mi hanno cucito addosso.
Mi spieghi la differenza fra una escort e una prostituta? Mi è parso di capire che le escort fanno prestazioni affettive, non solo sessuali. Rassicurano, gratificano, accompagnano, fanno le fidanzate a tempo in un certo senso.
Le escort vanno a cena, accompagnano a teatro, in viaggio...ma non è che la escort sia quella di lusso e la prostituta quella di strada. C'è dignità anche nelle prostitute di strada. Non credo che si divertano o che gli piaccia la vita che fanno. Escort o prostituta, se una donna fa questo lavoro è per necessità, o per per problemi familiari, o perché è stata portata violentemente a farlo.
È il tuo caso?
Un fidanzato violento, sì. Un capitolo molto oscuro della mia vita, subito dopo la morte di mio padre. Prima di conoscere quest'uomo non avevo mai fatto la escort.
Insomma secondo te non è un lavoro come un altro, o che si possa fare per scelta, come talvolta si rivendica nel movimento per i diritti delle prostitute?
Io penso proprio di no. Forse alcune, poche, lo fanno per il piacere di arricchirsi. Io l'ho fatto per superare dei problemi, ma senza mai starci bene. Anche se molte volte si trattava solo di andare a cena e chiacchierare per ore e ore - sono una che sa ascoltare e gli uomini parlano molto con me. Per queste prestazioni non credo che il termine adatto sia prostituta.
Tu fai anche sesso però.
Non prevalentemente, nella maggior parte dei casi accompagnavo gli uomini nei viaggi di lavoro, magari guidavo la macchina mentre loro parlavano di affari al telefono. Non sono «sporca» come mi hanno dipinta: c'è di peggio, ti assicuro.
Veniamo alla tua sfida a Berlusconi. Hai detto che sei pronta a un confronto diretto «sulle vostre vicende specifiche, sullo scambio sesso-potere, sulle tecniche di seduzione, sui rapporti fra uomini e donne».
Sì, non ha risposto.
Qualcosa puoi dire a distanza. Anche se sulle vostre vicende hai detto già tanto, e io non voglio insistere più di tanto. C'è un punto però su cui non si può non tornare. Berlusconi dice di non avere mai pagato per una prestazione sessuale. Ed effettivamente te non ti ha pagata, no? niente buste, niente soldi dopo quella notte passata insieme. Il presidente avrebbe dovuto farti un regalo, che poi non ti ha fatto.
Infatti. Perché io gli parlai del mio residence, e lui promise di aiutarmi. E io credetti che il suo regalo fosse quella promessa.
Ad altre ragazze, che tu sappia, le ha date queste buste?
Qualcuna l'ha già detto, che ha ricevuto una busta.
Sì, ma si sarebbe trattato appunto solo di un regalo, diecimila euro. Quindi se il presidente dice di non aver mai pagato per una prestazione sessuale, forse intende che ha fatto solo dei regali, gratuiti.
Sarà...
Del resto, non è che una prestazione sessuale costi 10.000 euro, o sì?
Dipende con chi.
Sesso e potere. Fai finta di essere una sociologa: che idea ti sei fatta di come funziona questo rapporto oggi in Italia?
Semplice: mi son fatta l'idea che dall'Italia è meglio andarsene. In Italia non vai avanti se hai doti, meriti, bravura: devi solo essere al posto giusto, conoscere la persona giusta, e non essere ribelle. Così ottieni tutto.
Vale solo per le donne?
Soprattutto per le donne, ma anche per gli uomini.
Ma gli uomini di potere in questo scambio che cosa cercano, e cosa ottengono?
Quello che hanno sempre voluto.
Cioè sesso? Ma solo sesso? O anche ammirazione, compiacimento, compagnia, soddisfazione narcisista? A Repubblica hai detto che a palazzo Grazioli c'era una sorta di harem, ma che mentre «nei veri harem c'è rispetto per le donne, lì c'era solo lui». Puoi spiegarmi meglio? Ti è sembrata una situazione allestita per il narcisismo del Capo?
Lui è lì al centro dell'attenzione. E' un ottimo padrone di casa, cordiale e affettuoso, arrivava con questi pacchettini e tutte erano lì adoranti, facevano la gara a chi ne riceveva di più, e lui era compiaciuto di questo, lui ama circondarsi di ragazze, ogni cena è un'occasione per conoscerne di nuove. E fra queste ragazze c'è molta competizione. Una gara agguerrita per piacergli. E poi c'è la prescelta, o le prescelte.
Tecniche di seduzione. Il presidente dice: «Non ho mai pagato una lira per fare sesso, mi piace la seduzione e la conquista». Tu ti sei sentita sedotta e conquistata da lui?
La prima sera no. Eravamo lì in tante, il presidente alcune le conosceva altre no. Sapeva benissimo chi gli portava Tarantini. E' stato molto galante, è venuto lui da me a presentarsi, mi ha chiesto che cosa faccio e se volevo andare in televisione, ballare, cantare, gli ho risposto di no, che della tv non me ne importava niente. Più tardi ha detto, davanti a tutti, «c'è qui una ragazza che non si fida più degli uomini, le faremo cambiare idea», evidentemente sapeva tutto di me da Tarantini che s'era rivenduto la mia storia, e io mi sono arrabbiata perché parlava dei fatti miei a voce alta. Non ero ammaliata, non ho fatto la ola come le altre, e quando prima Tarantini poi il presidente stesso mi hanno chiesto di restare per la notte ho risposto «no grazie» e me ne sono andata. Forse è stata proprio questa mia freddezza che l'ha incuriosito, mentre tutte fibrillavano per una comparsata in una fiction o al Grande Fratello, e lo ha spinto a richiedermi a Tarantini per la seconda volta. Già che ci sono, su quella prima sera vorrei puntualizzare che io avevo pattuito con Tarantini 2000 euro per la cena e basta, non, come qualcuno ha scritto, 1000 per la cena e altri 1000 se restavo. Invece ne ho avuti solo 1000.
Perché non sei rimasta? Solo perché non era nei patti, o perché non eri ammaliata? O per la situazione? Hai già detto che c'erano altre escort, due lesbiche fra le altre. Era una situazione imbarazzante? Era troppo?
Posso solo dirti che c'erano altre ragazze, e che qualcuna dice che non mi conosce e non mi ha mai vista, invece io c'ero e le ho viste, ragazze che lavorano in televisione, la prima sera ce n'era più d'una, compreso qualche nome che non è ancora uscito.
E la seconda sera?
La seconda sera era diverso. Non c'erano tutte quelle ragazze della prima volta, ed era programmato che restassi. Avevo accettato credendo davvero che lui avesse interesse per me, per la mia vita, per il mio problema. Lui cerca di colpirti dimostrando una grande sensibilità. Ma è tutta una finzione, una finzione reale pura. La verità è che siccome con l'offerta di andare in tv non funzionava, lui è passato per la porta del mio cuore. Ha fatto leva sul suicidio di mio padre.
E' questo che gli diresti sulle tecniche di conquista se accettasse il faccia faccia?
Questo, e altre cose sui momenti intimi che abbiamo avuto. Quella notte è stata lunga, le sue tecniche di conquista ha avuto modo di sfoderarle tutte. Sembrava affettuoso, ma era finto. E ora dice che mi manda in galera per 18 anni...voglio che me lo dica in faccia.
Dalla registrazione della telefonata del giorno dopo, anche tu sembri affettuosa. Era una cosa vera o faceva parte della prestazione?
No, io non recito mai. Avevamo passato insieme la notte e questo per me aveva creato una intimità.
Quella notte era il 4 novembre, tutti avevamo altro per la testa. Tu non eri curiosa delle elezioni americane?
Sì, ma finché c'erano anche gli altri le abbiamo seguite su un video. Quando Obama è stato eletto eravamo soli. Il presidente è stato chiamato da qualcuno, è tornato e mi ha detto «abbiamo il nuovo presidente americano».
Come l'ha presa?
Era tranquillo. Ma non ne abbiamo parlato tanto.
Com'è Palazzo Grazioli?
Bello. Un po' kitsch però.
Hai esordito dicendo che sei sola, «più sola di così...». Ti senti sola?
Mi aspettavo più solidarietà. Soprattutto da parte delle donne.
Delle donne in generale, o di quelle ragazze che erano lì con te?
Anche da parte di quelle ragazze lì.
I tuoi rapporti con Barbara Montereale come sono? si sono rotti?
Non c'era evidentemente alcuna amicizia. Le vere amiche nei momenti difficili ti stanno vicino, lei ha tentato di infangarmi. Mi ha attribuito una volontà di vendetta, io non ho mai meditato vendette. Avrei potuto fare nomi, descrivere situazioni, ma ho parlato solo di me stessa.
C'è ancora un sacco di gente che si chiede perché hai parlato, anche se tu l'hai detto un sacco di volte.
C'era stato quel furto orribile che ho vissuto come una violenza.
O un avvertimento?
Tutt'e due. M'è sparito tutto, vestiti, agende, cd, computer, foto...hanno invaso la mia vita, la mia personalità, tutto. Hanno lasciato un televisore e altre cose di valore e hanno preso la biancheria intima. È chiaro che cercavano qualcosa.
I nastri?
Chi era lì cercava qualcosa.
Fra le donne, femministe e non, c'è un po' di reticenza, capisco che tu dica che ti aspettavi più solidarietà. C'è chi solidarizza con Veronica Lario e con te, e c'è chi diffida di Veronica - è ricca, dicono, e poteva lasciarlo prima - e di te perché comunque sei una escort e «questa storia mi fa complessivamente schifo». L'altra ragione di reticenza, più specificamente femminista, è l'idea che le escort lavorano comunque per il piacere maschile, non per il proprio desiderio, e questo a tante, me compresa, non va giù. Da escort, tu lavori...
Lavoravo: ho smesso.
...lavoravi: per il piacere maschile, per il tuo piacere, per i soldi, per i soldi e il piacere, per i soldi contro il piacere?
Io non ho mai provato nessun piacere a fare la escort. Proprio no. L'ho fatto solo per necessità, e comunque cercavo di scegliere uomini con cui almeno potessi parlare. E col caratterino che ho, ho mandato a quel paese un sacco di persone e di situazioni.
Forse hai potuto parlare proprio perché non eri tanto presa dal gioco.
Non mi sono mai fatta coinvolgere, pur avendo e chiedendo rispetto. Nel caso di persone arroganti rinunciavo. Tante che oggi dicono che non hanno mai fatto la escort e che fanno le modelle, le attrici, le ragazze immagine accettano di ben peggio. E' capitato anche durante un viaggio a Dubai, ho detto di no a uno che mi voleva a cena, non mi piacevano i suoi modi, e lui m'ha detto «chi ti credi di essere, Naomi Campbell?» E io: non mi credo niente, ma non voglio la tua compagnia.
Naomi, Noemi. Una volta hai detto che di fronte alla storia di Noemi Letizia eri senza parole. Ne hai trovate nel frattempo?
Tutte recitano un copione e il copione è sempre uguale. Lo vedi anche dalle dichiarazioni che sono state rilasciate. Il ritornello è sempre quello.
Quale? «Sono senza macchia, non ho fatto niente, voglio solo fare l'attrice»?
Per fare la modella non c'è bisogno di andare a delle cene, una fa i provini, il cast. Quando facevo la modella io non andavo alle cene, mi invitavano ma non ci andavo, ho fatto dei sacrifici, avevo un gruppo di dieci persone che lavoravano con me e con cui dividevo quello che guadagnavo.
Perché hai accettato di candidarti nella lista "La Puglia prima di tutto"? Che t'aspettavi da quella candidatura, o da quella a Strasburgo? E ti sentivi davvero in grado di fare politica?
Tarantini mi chiese il curriculum per le europee, poi mi disse che la moglie di Berlusconi aveva fatto casino e che bisognava soprassedere, e in cambio mi offrì «La Puglia prima di tutto». Perché accettai? Sempre con l'idea che mi potesse essere utile per concludere il progetto che ha portato al suicidio mio padre. E' il mio unico obiettivo, gliel'ho promesso sulla sua tomba.
Secondo te il sistema sesso-potere è legato a Silvio Berlusconi o va avanti anche senza di lui?
E' incardinato su di lui, ma può sopravvivergli.
Hai fiducia nell'inchiesta della magistratura?
Sì, certo. Ma il problema è che tutto quello che è successo sta facendo del male alla mia famiglia, mia madre, mia figlia. Non ho protezione. Non ho lavoro. Certo ho la soddisfazione di aver detto la verità, ma che ci faccio?
Perché sei andata a Venezia? Per fare un po' la diva?
No, non è vero. Mi ha convocata lì la Tv australiana Abc per un reportage, io non ero mai stata al Lido e neanche sapevo che la barca mi avrebbe scaricata nel cuore della mondanità.
Che vorresti fare adesso?
Finire questo benedetto residence, che mi darebbe anche da vivere. Spero che presto si sblocchi il problema amministrativo che lo blocca. Altrimenti racconterò la sua storia vera.
Sei in partenza per Parigi. Stai meglio lì che qui?
Sì. Qua non respiro più. Anche se mi sforzo di sorridere, che devo fare? se piango è peggio.
Che pensi di Veronica Lario?
Mi pare una donna forte, una donna che ha sofferto, anche lei. Giusto stanotte non riuscivo a dormire e ho letto un libro su di lei.
Curiosità: hai un'idea del femminismo, e quale?
Penso questo, che ci sono tante donne in gamba, più degli uomini, e che spesso alle donne tocca fare la parte delle donne e degli uomini.



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lunedì 14 settembre 2009

Lettera dall’Aquila al Presidente della Repubblica

a cura del blog dei giovani aquilani 3e32: http://www.3e32.com/

Caro Presidente,
le cronache sulla sua visita di ieri nella nostra città, a cinque mesi dal terremoto del 6 aprile, parlano del calore con cui gli aquilani l’hanno accolta e riferiscono del conforto da lei espresso nel vedere, dopo tutto quello che è successo, “fiducia e gente sorridente” che “crede molto nelle istituzioni”.

Altro, a parte le note di colore, non è stato riportato. Sappiamo che ha parlato con i responsabili della Protezione Civile, con i rappresentanti locali. Ha avuto modo di chiedere, di vedere e di informarsi. Ma non ha aggiunto altro.

E’ vero caro Presidente. Noi, anche quelli che non erano lì a stringerle la mano o ad ascoltare l’inno di Mameli, crediamo molto nelle istituzioni. Anzi moltissimo. Perché per noi le istituzioni rappresentano la possibilità di affrontare insieme i problemi di una comunità per risolverli insieme. Quindi dato che di problemi, dal 6 aprile, ne abbiamo un po’ più del normale, nelle istituzioni crediamo molto, anche perché ne abbiamo molto bisogno.


Questo lei lo sa, lo ha visto. Ha visto la distruzione immensa. Sa, come tutti noi, che da un evento del genere non ci si riprende se non attraverso sforzi collettivi eccezionali e soprattutto attraverso le scelte giuste. Altrimenti, semplicemente, le città e i paesi muoiono.

Ha visto, caro Presidente, il sorriso riaffiorare su qualche volto degli abitanti di Onna. Perché dopo i troppi lutti e la sofferenza di cinque mesi di tenda, potranno avere un tetto nel piccolo villaggio di case di legno che sorge accanto al paese distrutto. Ha potuto capire, caro Presidente, che la speranza è nel poter riallacciare i fili spezzati con le persone e i luoghi. E’ poter restare insieme e restare lì. Vicino alla tua casa rotta, o mezza rotta, smozzicata, scoperchiata, ma che è la tua casa. La speranza è di ricostruire la casa, la scuola, le strade e le piazze e di ritrovarsi insieme.

Ma sulla strada che dall’Aquila conduce ad Onna, caro Presidente, avrà visto anche il cantiere di Bazzano, dove si costruisce il più grande dei 19 nuovi insediamenti destinati ad ospitare chi ha perso la casa. E’ il Piano C.A.S.E. voluto dalla istituzione Protezione Civile, previsto da un decreto legge dell’istituzione Governo, convertito in legge dall’istituzione Parlamento, approvato con il sostegno convinto dell’istituzione Regione Abruzzo e con l’avvallo delle istituzioni Provincia e Comune dell’Aquila. E questa è tutta un’altra storia. Ed è, purtroppo, quella vera che nulla ha a che vedere con la vicenda di Onna, è il suo contrario.

Il Piano era già pronto, ambizioso e innovativo: per la prima volta gli sfollati non sarebbero stati ridotti in roulotte o container ma, dopo qualche tempo in tenda, avrebbero avuto direttamente case vere, antisismiche, ecologiche e con tutti i comfort. Circa 5.000 abitazioni per circa 15.000 persone, che vi avrebbero abitato il tempo necessario a ricostruire la propria casa.
Così 30 mila persone sono state tenute in tenda per cinque mesi e altrettante, lontane negli alberghi della costa abruzzese, perché tutti, in autunno, avrebbero potuto avere un tetto: chi riparando i danni lievi della propria abitazione, chi trovando posto nelle nuove C.A.S.E.. Ma, caro Presidente, non è andata così. Non gliel’hanno detto?

Le tende hanno cominciato a toglierle davvero, solo che le case danneggiate non sono state riparate e le C.A.S.E., quando saranno tutte consegnate (dicembre? febbraio? aprile?), non basteranno. Per cui le persone dalle tende vengono trasportate in caserma o in albergo – la destinazione viene comunicata poco prima in modo da ridurre il rischio di rimostranze. Gli alberghi dell’aquilano sono pieni e quindi decine di migliaia di persone dovranno essere piazzate in altri territori e province. Chi ha la fortuna di avere ancora lavoro a L’Aquila o ha un figlio da mandare a scuola, potrà viaggiare con mezzi propri o autobus navetta, questi – pare – messi a disposizione dalle istituzioni. Gli altri staranno lì in attesa degli eventi.

Questa è la storia di una devastazione annunciata, caro Presidente. Lo smembramento delle comunità, praticato all’indomani del terremoto, viene proseguito dopo cinque mesi e perpetuato in quelli avvenire. Perché non si è saputo e non si è voluto dare priorità alla ricostruzione ma alla costruzione del nuovo. E poi l’antico adagio resta valido: divide et impera. Se vuoi comandare sulle persone, tienile separate. Nei campi tenda, dove le persone per forza stanno insieme, è vietato distribuire volantini, è vietato riunirsi e discutere liberamente. I diritti e le libertà costituzionali, caro Presidente.
Con tutte le nostre forze, da subito, abbiamo chiesto alle istituzioni che venissero risparmiate sofferenze, denaro pubblico e le bellezze del territorio, ricorrendo a case di legno, prefabbricati e simili. Soluzioni rapide (4 settimane per averle pronte), economiche (un terzo di una C.A.S.A.), dignitose, sicure, che permettono di restare vicini nel proprio territorio da ricostruire e che possono essere rimosse quando non serviranno più. Ma non c’è stato nulla da fare. Le istituzioni non hanno voluto ascoltare.

Bisogna costruire le nuove C.A.S.E. 24 ore al giorno, spendendo tutti i soldi che ci sono davvero – 710 mil. di euro – e usando pure quelli donati dagli italiani. Tirando su, in tutta fretta, insediamenti che saranno definitivi, dove capita, senza logica urbanistica, senza minimamente rispettare criteri di prossimità ai nuclei precedenti. Intanto, tutto il resto, con l’inverno alle porte, è fermo. Il riparabile non viene riparato, il centro storico resta immerso in un silenzio spettrale. Perché?

Che farebbe lei caro Presidente, se a cinque mesi dal terremoto non sapesse dove trovare una sistemazione per la sua famiglia, una scuola per i suoi figli, un lavoro che ha perso? Se non avesse la minima idea di come e quando potrà riparare la sua casa, ammesso che ne abbia ancora una? Molti, troppi, non hanno potuto fare altro che andare via. Accettare che, almeno per un po’, a L’Aquila non è possibile tornare. Ma se non ora, dopo cinque mesi, quando? Lo spopolamento in atto, diventerà progressivo e definitivo se qualcosa di importante non cambia e subito.

Tutto questo l’abbiamo denunciato, chiesto, urlato, ogni volta che abbiamo potuto e come abbiamo potuto. Di tutto questo nessuno le ha detto nulla? Perché nemmeno una perplessità, un dubbio nelle sue parole di ieri sulle scelte fatte?
Caro Presidente, ha ragione, noi ci crediamo davvero nelle istituzioni. Eppure si sbaglia, caro Presidente, perché di fiducia non ce n’è più. La supponenza, l’arroganza, l’ignoranza, la complicità, gli interessi inconfessabili, l’incapacità e l’inettitudine logorano la fiducia nelle istituzioni. Come pure il silenzio.
Lunedì 7 settembre 2009
Comitato Rete-Aq

Fai girare e spedisci ANCHE TU la lettera al Presidente!> Vai nella pagina del sito del Quirinale:https://servizi.quirinale.it/webmail/missiva.asp?msg=1&t=9%2F7%2F2009+8%3A06%3A29+PM> inserisci i tuoi dati> copia e incolla il testo della lettera (anche solo la prima parte dato che tutta non c’entra)> invia

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sabato 5 settembre 2009

SPOSTARE CHI, DOVE, QUANDO, PERCHE? COME…

dal sito web di 3 e 32 By alessandro Published: settembre 3, 2009 at 8:57 PM

Se lo stanno chiedendo in queste ore centinaia di persone nella trendopoli di piazza d’armi. Ieri è stata data comunicazione dell’imminente smantellamento del campo. Domani ci sarà il grosso delle partenze. Destinazione: la caserma della guardia di Finanza, la caserma pasquali, gli hotel dell’Aquila ma anche quelli marsicani e del teramano.

I criteri di destinazione degli sfollati sono in base alla produttività. GLi anziani, la fascia più debole della popolazione, dovranno insomma andare via. Sta notte è l’ultima. Così, all’improvviso…

Lo sapevano tutti dall’inizio di questa settimana: protezione, civile, operatori di vario genere, giornalisti. Tranne loro i residenti delle tende che ora si trovano in fretta e furia a fare i bagagli senza aver avuto neanche il tempo di pensare ad un’altra possibile destinazione dove andare, fuori da quelle previste dalla protezione civile.

Un equipe composta da due membri della protezione civile (uno della nazionale, l’altro dell’Emilia Romagna che gestisce il campo) uno psicologo e due poliziotti (e altri quattro a fare la guardia attorno) sono passati tenda per tenda da ieri pomeriggio e per tutta oggi a comunicare il trasferimento. Massiccia la presenza all’interno del campo di polizia intensificata appositamente per questo.
Le destinazioni sono temporanee dicono gli operatori senza specificare quanto. Il governo deve annunciare lo smantellamento delle tendopoli e lo sta facendo. Ma se ora gli sfollati possono alloggiare nelle caserme e negli alberghi perchè non potevano farlo prima? Si sarebberpo risparmiati a bambini e anziani 5 mesi di tenda e bagni chimici.

Temporanee quanto? Se questa condizione durasse a lungo allora i trasferiti di piazza d’armi avrebbero diritto di essere portati in case vere come promesso loro da Aprile.

Perchè la comunicazione è avvenuta in modo così tempestivo?

Qualsivoglia siano i processi che hanno portato a questa situazione, le conseguenze di questo modo di agire sono, nelle parole di molti abitanti della tendopoli, “un secondo terremoto”: una signora che rimarra’ all’Aquila, in un edificio di sei piani in cui non vuole entrare perche’ ha ancora paura di stare sotto un tetto che potrebbe cascarle sulla testa, mentre sua madre anziana andra’ a Tagliacozzo. I risultati di lunghi mesi di difficilissimo lavoro tra psicologi e bambini messo in pericolo da una fine cosi’ inaspettata; la paura che l’essere rimasti all’Aquila, per rimanere nella propria citta’ e magari prendere parte alla ricostruzione, sia stata del tutto inutile perche’ forse domani ti portano sulla costa, o di qua, o di la…”bhe, a te dove ti mandano?” si stanno chiedendo l’un l’altro gli abitanti di Piazza d’Armi che dopo essersi a fatica e tra mille difficolta’ ricostruiti un minimo di normalita’, si ritrovano praticamente nella stessa situazione in cui si trovavano la mattina del 6 Aprile. Nell’incertezza piu’ assoluta, spaventati e sempre e comunque privi di alcun potere decisionale sul loro destino, che rimane saldamente nelle “loro mani”, quelle della Protezione Civile.

Che le tendopoli dovessero chiudere e’ un fatto e anche un bene, di cui moltissimi a piazza d’Armi sono felicissimi. Ma chiudere le tendopoli in se’ per se’ non vuol dire nulla, se non ci sono case in cui si puo’ e si vuole andare. Difronte ad un preavviso di 48 ore sorge il dubbio che ci siano altri meccanismi all’opera. Meccanismi in cui le vite degli Aquilani sono solo un qualcosa da spostare qua è là, seguendo ordini che vengono dall’alto, e senza preoccuparsi troppo delle conseguenze. In ogni caso attuabili portandosi dietro polizia, carabinieri e guardia di finanza, nel caso qualcosa vada storto…

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giovedì 3 settembre 2009

L'onore ferito del premier

di Ida Dominijanni, da il Manifesto on line

Concita De Gregorio, Natalia Lombardo, Federica Fantozzi, Maria Novella Oppo, Silvia Ballestra. Sono tutte donne le colleghe e amiche dell'Unità citate per danni dal presidente del consiglio per "lesa dignità". E' un caso e non lo è. Perché fin dall'inizio dell'affaire che lo sta coprendo di ridicolo, in Italia e nel mondo, sono soprattutto donne, a partire da Veronica Lario, quelle che si sono prese la libertà di dire "vedo" di fronte al poker delle sue performance da "vero uomo". Vedo e non credo.

Basta questo per mandare in briciole il mito del grande seduttore a cui nessuna resiste. Vediamo, non crediamo, resistiamo. La libertà di stampa brucia. Se è libertà femminile brucia il doppio, perché per un vero uomo è doppiamente insopportabile. Lesiva non della sua dignità ma del suo narcisismo. E va doppiamente punita.
Come è stato per Veronica, data per "nervosa" («capita talvolta alle donne di essere un po' nervose», commentò suo marito: questione ormonale), inaffidabile e manipolabile, e triturata dalla stampa del principe come "velina ingrata" (quel gentiluomo di Feltri) nonché moglie infedele. Com'è stato per Patrizia D'Addario, manovrata e pagata da chissà chi. Com'è stato per altre che si sono impicciate di altri affari del premier, a cominciare da Nicoletta Gandus, giudice sul caso Mills (qualcuno ricorda la faccia di Ghedini in tv mentre commentava la sua sentenza?).
Il premier e la sua corte hanno un'idea precisa di dove deve stare una donna e di come la si possa "utilizzare". Se una, due, cinque, cinquanta, cinquantamila in quel posto non ci stanno sono guai. Per lui, perché questo è l'ennesimo segnale di dove sia finito il mitico fiuto di Silvio Berlusconi che pareva metterlo sempre dalla parte del senso comune. In quel posto non ci stiamo, il senso comune stavolta dice questo. Il fiuto del grande comunicatore è svaporato.
Fa davvero piacere vedere il premier riconciliato con le virtù di quella giustizia che per anni ha denigrato, appellarsi pieno di fiducia a quegli stessi magistrati per i quali un tempo invocava test attitudinali e prove di stabilità psicologica. Aveva ragione. Ci vuole effettivamente molto equilibrio per decidere di questioni tipo questa: Luciana Littizzetto avrà leso o no l'onore del premier con le sue battute "sull'utilizzo di speciali accorgimenti contro l'impotenza sessuale"? Avrà leso o no «la sua identità personale presentando l'onorevole Berlusconi come soggetto che di certo non è, ossia come una persona con problemi di erezione»? Non invidiamo i magistrati, e nemmeno i periti di parte. Neanche per sorridere indagheremmo mai su quel "di certo": non ci serve. Di certo, quando un "vero uomo" mette sul tavolo l'evidenza letterale della sua potenza, è perché traballa quella simbolica.
Silvio Berlusconi è di certo un "vero uomo", di quelli che affidano alla mascherata sessuale la certificazione della loro misura. Altrettanto di certo è un uomo politico finito: nella miseria, nella rabbia, nella dismisura.


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mercoledì 2 settembre 2009

Milano, è morta Teresa Sarti Strada, fondatrice e presidente di Emergency

di Daniele Mastrogiacomo, da Repubblica on line

Di lei ricordiamo soprattutto due cose: la serenità e la determinazione con cui guidava la sua grande missione umanitaria. Teresa Sarti Strada non era una donna esuberante. Ma faceva sentire la sua presenza. Ancora adesso, a 63 anni, conservava la sua aria mite, nascondeva a fatica la timidezza che l´aveva accompagnata sin dai tempi dell´università dove avrebbe conosciuto il suo compagno della vita, Gino Strada e con il quale ha fondato Emergency di cui era presidente. Occhi azzurri, sorriso appena accennato, capelli rossi, Teresa è morta al termine di una lunga malattia che combatteva da quasi due anni. E´ morta nella sua casa di Milano, vicina a suo marito e alla loro unica figlia, Cecilia.

«Due giorni fa», ci racconta con il cuore a pezzi Maso Notarianni, genero di Teresa, «da Torino, dove era ricoverata, ci hanno avvertito che era peggiorata. Siamo andati a prenderla e abbiamo deciso di portarla a casa. Ha potuto vivere gli ultimi istanti in un ambiente che conosceva bene, vicino alle sue cose, ai suoi ricordi, vedendo i colori e le persone che aveva sempre visto. Per fortuna - aggiunge Maso - non ha sofferto. Se n´è andata in modo sereno». Nata a Sesto San Giovanni, all´epoca grosso comune popolare alle porte di Milano il 28 marzo del 1946, figlia di una casalinga e di un idraulico, Teresa si era laureata in Lettere moderne e aveva iniziato subito a insegnare. Era il mestiere che aveva sempre sognato e che avrebbe svolto con impegno e scrupolo fino alla pensione. Prima in una scuola media di via Giolli, nel quartiere della Bicocca a Milano, in un ambiente difficile dove riesce però a farsi volere bene e a conquistare la fiducia di tutti i suoi alunni.

Nel 1971 incontra un giovane studente di Medicina, Gino Strada, lo sposa e otto anni dopo nasce Cecilia. La giovane professoressa continua ad insegnare. Cambia scuole. Finisce alle medie superiori: licei e istituti tecnici. Nel 1994 arriva la svolta. Con Gino Strada si butta a capofitto nel mondo del volontariato. Fondano Emergency, l´associazione per la cura e la riabilitazione delle vittime di guerra e delle mine antiuomo. Gino, nel frattempo, si è specializzato. E´ diventato un abile chirurgo. Teresa è entusiasta del progetto. Dedica tutto il suo tempo libero all´associazione; ne diventa l´anima, l´ispiratrice. Va in pensione e in modo volontario si dedica totalmente ad Emergency. «E´ stata un´esperienza», dirà in una delle sue rare interviste, «che mi ha molto cambiata. In meglio, naturalmente. L´unico legame tra la Tere di una volta, studiosa, timidissima, dotata di pochissima fantasia e la Tere di oggi è stato l´impegno nel volontariato cattolico.



Questa attenzione per gli altri», spiegava ancora, «che mi viene da una formazione profondamente cattolica, l´avevo fin dai tempi dell´insegnamento. Per il resto sono irriconoscibile». E´ attorno al tema della pace, sotto il vessillo di Emergency, che Gino e Teresa conducono la loro esistenza. Tra moltissima solidarietà, oltre 4 mila militanti, raccolta di fondi, donazioni spontanee e una serie di ospedali (tre solo in Afghanistan, un centro altamente specializzato in Sudan, altri ancora in Africa e punti di riferimento persino negli Usa) che in 15 anni hanno assistito e curato oltre 3 milioni di ammalati, feriti, mutilati. Contrari alla guerra, polemici con le scelte che la stessa sinistra aveva compiuto sia in Iraq sia in Afghanistan, i due coniugi Strada rimangono il simbolo di una battaglia difficile e scomoda.

«Con il tempo», ricordava ancora Teresa, «sono iniziati gli attacchi, con l´accusa di essere pericolosi estremisti. Nel 2002 abbiamo ottenuto il massimo dei consensi con le fiaccolate per la pace in 270 città italiane». Fino all´incontro con il Papa. «Uno dei momenti più emozionanti della mia vita», confiderà Teresa. Tantissimi i messaggi di cordoglio, dal presidente Napolitano a don Ciotti a Walter Veltroni. Il più toccante è quello che si legge nel sito di Emergency: «La serenità consapevole con cui è andata incontro alla conclusione del suo tempo ha espresso il coraggio e la determinazione che rappresentano la verità della nostra azione». I funerali si svolgeranno sabato a Milano. Forse a Palazzo Marino.
(01 settembre 2009)


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