giovedì 31 dicembre 2009

28.12.2009 Assemblea Regionale del PD Puglia: "nessuna occupazione" !!

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mercoledì 30 dicembre 2009

Sergio Lusetti - Incanti - Dipinti e sculture 1967-2009

Pdm Mostra Lusetti TX

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martedì 29 dicembre 2009

Lavori in corso nell'era digitale

Lavori in corso nell'era digitale, da Sbilanciamoci
di Laura Balbo

Sulle tracce dei cambiamenti del lavoro sotto la spinta di crisi e tecnologia. Da un lato il digitale che libera la creatività, dall'altro le "digital sweatshops"
Tenere presenti i diversi aspetti, e conseguenze, della “crisi” - aldilà delle soluzioni e dei messaggi “ufficiali” o comunque accreditati (dei politici, e anche degli economisti) - mi interessa molto. Due spunti che ho trovato di recente riguardano possibili aspetti di cambiamento dell’esperienza del lavoro, fin’ora poco messi in luce: in un caso positivi, nell’altro preoccupanti.
Quelli che suonano – e ci vengono descritti - appunto come positivi sono menzionati in alcuni articoli che mettono a fuoco le attività artistiche definite amatoriali: e si dice che con la “professionalizzazione” che ha interessato diversi tipi di artisti nel secolo scorso (e con il loro inserimento più o meno stabile in istituzioni e sedi specializzate, vale per esempio per gli orchestrali e gli attori di teatro) sono andati perduti elementi importanti di una fase precedente: creatività, spontaneità, anche piacere.
Ciò che sta succedendo adesso, si suggerisce, fa uscire da questa fase, ci porta avanti. Vengono descritti esempi di vario genere: gruppi musicali si formano a livello di quartiere, o perché accomunati da particolari scelte e riferimenti (la musica di paesi particolari, l’uso di strumenti inconsueti; anche l’età delle persone coinvolte può essere un criterio di aggregazione). Si insiste sul fatto che oggi “artisti amatoriali frustrati” - perché in pasato non accettati da quelli che erano riconosciuti come gli “arbitri” nei rispettivi settori, in studi cinematografici, gallerie d’arte, case discografiche, e nell’editoria - hanno occasioni per realizzare le loro aspirazioni, grazie a YouTube e a meccanismi analoghi. Anche romanzieri e scrittori riescono a saltare le tradizionali barriere di accesso e si affermano, e pubblicano, per effetto dei nuovi sistemi non cartacei di stampa e distribuzione. La produzione artistica amatoriale è più accessibile in termini di costi, sia per coloro che la realizzano sia per gli spettatori e altri “utilizzatori”. Molte cose si realizzano in settori no profit.
Se sia una cosa positiva o meno, su questo non si traggono conclusioni. Ma si ricorda che la parola “amatoriale”, amateur, viene dal latino, e fa riferimento a un rapporto di “amore”: dimensione che c’entra, si sottolinea, con il mondo dell’arte. E c’è una frase interessante di Robin Simpson, che è a capo della U.K. Voluntary Arts Network: ”la crisi ha spinto molti a pensare alle cose che danno un senso alla loro vita”.
L’altra notizia riguarda un mondo molto diverso, e il titolo del pezzo a cui mi riferisco ( Newsweek Special Issue, 2010) è “The New Digital Sweatshops”. Si fa il punto su quella parte della popolazione che trova collocazione nei vari mondi del “lavoro digitale” e ci si interroga su come i dati della disoccupazione e della “crisi” vadano letti in questo scenario, comunque ingrande sviluppo. Nell’articolo si fa una distinzione tra posizioni collocate in alto, creative, molto ben remunerate, il vertice, si dice, di una specie di piramide; c’è poi uno strato intermedio; e sotto la base, e qui il lavoro è fatica e, riprendendo una definizione in disuso, è “sudore”.
Un esempio del livello alto è così presentato: un’azienda ha bisogno di risolvere un problema per il quale non trova risposta all’interno delle sue strutture, e dunque si rivolge a quella che è definita una “eBay per la soluzione di problemi difficili”. Sulla rete si sollecita chi abbia l’idea giusta a proporla, si fissa una scadenza; se uno ce la fa, può guadagnare anche ventimila dollari.
All’estremo opposto, e qui si ritorna al riferimento alle sweatshops del passato, ci sono persone che attraverso internet, rispondendo a centinaia di messaggi, operano in varie parti del mondo per lo stesso datore di lavoro. L’idea è di offrire rapide soluzioni a problemi di turisti e viaggiatori (come trovare il miglior caffè in una determinata città, attraverso una rete di clienti abituali); o di far girare le risposte giuste a giochi che vengono proposti a numeri altissimi di partecipanti (si cita un gioco di Amazon, Mechanical Turk). Qui il guadagno è molto basso. La legislazione sul lavoro e anche pratiche che sono consolidate almeno in certi contesti, non si applicano. Ma soprattutto si insiste sul fatto che sono moltissime le persone che non hanno alcuna garanzia in termini di retribuzione, salario minimo, tutela sanitaria e pensionistica; e si segnala anche il problema del lavoro minorile). Succede anche che si imponga ai lavoratori di essere controllati per ogni cosa che dicono, per ogni movimento del loro mouse.
A molti si richiede di non fare sapere che lavorano per una certa impresa, e a quali condizioni: anzi, ci si mette a lavorare senza neanche avere un’ idea di quali attività si dovranno svolgere, e per quale “imprenditore”, e dove questo sia collocato. Un commento ancora: “se la forza lavoro può essere selezionata, organizzata, e diretta da un qualunque punto lontano, le relazioni e le iniziative comuni tra lavoratori saranno ridotte, o anzi impossibili”.
Dunque si delinea uno scenario in cui le tradizionali condizioni di solidarietà e la possibilità di rivendicare diritti non si danno; ma nemmeno non è possibile, per i lavoratori coinvolti, creare rapporti, movimenti collettivi. E per gli “imprenditori” attivi in questo sistema ci sono molti modi per evitare qualunque controllo o normativa.
E’ utile che questi possibili sviluppi ci siano fatti presenti. Si

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lunedì 28 dicembre 2009

Il furto del TFR - intervista a Beppe scienza

sul blog di Beppe Grillo
"L’ultima novità sul TFR ha suscitato molto sdegno, anche se in effetti non è la cosa più grave. La novità è che la Legge Finanziaria per il 2010 utilizzerà quei soldi che le aziende, anziché tenerli loro a fronte del TFR dei loro dipendenti, hanno dato all’Inps non è la cosa più grave, in quanto non tocca veramente la situazione dei lavoratori; purtroppo sono altre le cose che toccano o toccheranno o minacciano di toccare la situazione dei lavoratori.
La riforma bipartisan del TFR, decisa prima da Maroni e Tremonti con il governo Berlusconi e poi anticipata di un anno dal governo Prodi, è stata uno dei tiri più mancini tirati ai lavoratori italiani negli ultimi decenni.
Il vero inganno, il vero imbroglio, la vera falsità che viene diffusa dai vari economisti di regime è un’altra, ed è la base del discorso con cui si vuole convincere la gente a aderire alla previdenza integrativa e è questo discorso. Le pensioni saranno basse e quindi non sufficienti, per integrarle bisogna trasferire il TFR ai fondi pensione: bene, questa è una falsità bella e buona! Può anche darsi che le pensioni saranno basse, anche se è difficile prevedere tra 40 anni come saranno le pensioni, prevedere a distanza di 40 anni come saranno le pensioni, come saranno gli stipendi, come saranno i prezzi è praticamente impossibile. Ma anche se fosse vero che saranno basse, è falso che per avere una rendita aggiuntiva bisogna trasferire il TFR ai fondi pensione o a altri prodotti assicurativi: no, uno si tiene il TFR e, quando incassa la liquidazione, se vuole utilizza questa cifra per avere una pensione integrativa e, se quella cifra è più alta di quanto è rimasto invece a quel poveraccio che ha aderito a un fondo pensione, chi non ha aderito avrà una pensione integrativa più alta di chi ha aderito.
Ci sono dei campioni, nella non nobile arte di prendere in giro i lavoratori italiani che raccontano loro delle cose addirittura ridicole; prendo un esempio concreto, uno di questi campioni si chiama Marco Lo Conte ed è un giornalista de Il Sole 24 Ore, il bollettino quotidiano della Confindustria, in cui lui dice - cito da sabato 24 ottobre 2009 a pagina 4 di Plus24, il supplemento - che: “per chi non aderisce alla previdenza integrativa c’è la certezza roulotte, cioè la certezza di trovarsi, in vecchiaia, a vivere in una roulotte senza neanche il cibo per i gatti” e questo riguarderebbe 18 milioni tra i 23 milioni di italiani lavoratori dipendenti. Beh, dire che chi non aderisce alla previdenza integrativa è certo di finire a vivere in roulotte mostra soltanto che a Il Sole 24 Ore manca il senso del ridicolo.
Con il 2010 dovrebbero arrivare a tutti i lavoratori dipendenti delle buste, pare di colore arancione, ma l’aspetto cromatico è irrilevante, in cui si dice loro quale sarà presumibilmente la loro pensione. Il fine di queste buste arancioni è spaventare i lavoratori e indurli, spingerli a cosa? Ai fondi pensione o a altri prodotti assicurativi. Ecco, questo è quello che una persona prudente proprio non deve fare.
Dare i propri soldi ai fondi pensione vuole dire correre due rischi che con il TFR non si corrono: il primo rischio - e si è visto bene nel 2008 - è che un crack di mercati finanziari faccia scendere di valore quello che uno ha messo da parte; qui non si tratta di fallimenti, i fondi pensione non falliscono, anche i fondi comuni non falliscono, però possono perdere il 90% senza fallire. L’altro rischio che c’è è che riparta l’inflazione.
Quello che è sicuro è che, di fronte a entrambi questi due rischi, un crack dei mercati finanziari e il ripartire dell’inflazione, che magari possono anche capitare entrambi insieme, perché a volte le brutte notizie vengono insieme, chi si tiene il TFR è tranquillo, perché il valore del TFR non dipende dai mercati finanziari e, se viene l’inflazione, il TFR segue in maniera eccellente l’inflazione.
Ora, il ministro Sacconi ha più volte anticipato che: “si farà partire un nuovo periodo di silenzio /assenso”, cioè altri sei mesi in cui, automaticamente, se uno decide di no, i suoi soldi vanno nei fondi pensione.
Il TFR va bene per i lavoratori, va abbastanza bene per i lavoratori, va abbastanza bene per le aziende, però non fa guadagnare i banchieri, perché i lavoratori prendono i soldi dalle aziende e la banca non si mette in mezzo a fare la sua cresta; non fa guadagnare gli assicuratori, che non sono assolutamente nel gioco, non va guadagnare i gestori di fondi perché non gestiscono niente, non fa guadagnare i sindacati, perché non hanno a da mettere i loro uomini, come invece li mettono, nei fondi pensione per la gestione dell’amministrazione, non fa guadagnare i funzionari della Confindustria e delle altre organizzazioni del patronato, che invece nei fondi pensione mettono anche loro i propri uomini, non fa guadagnare i docenti universitari, non fa guadagnare gli economisti, perché il TFR va avanti per conto suo e gli economisti non possono fare consulenze, non possono essere nei consigli di amministrazione dei fondi pensione, non possono guadagnarci sopra. Insomma, il TFR è una cosa che va bene soltanto ai lavoratori e alle aziende, non fa guadagnare gli altri e gli altri hanno cercato di distruggerlo. Per fortuna non ci sono ancora riusciti!" Beppe Scienza

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domenica 27 dicembre 2009

28.12.09 - 66° Anniversario del sacrificio dei Sette Fratelli Cervi e di Quarto Camurri


In mattinata:
Omaggio ai caduti nei cimiteri di Guastalla e di Campegine
e al Poligono di Tiro di Reggio Emilia
a seguire: MUSEO CERVI
Momento di ricordo e
Inaugurazione dell'installazione museale permanente
Muri che parlano

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venerdì 25 dicembre 2009

Pd, la Guerra delle Due Rose

di Francesco Piccolo, da L'Unità on line

Si fanno leggi ad personam, si colpisce Berlusconi in mezzo alla folla, si parla di mandanti e cattivi maestri, si prova ad abbassare i toni; ci sono politici che difendono la Costituzione, altri che la attaccano; altri ancora che sono nel partito di Berlusconi ma hanno cominciato un percorso di allontanamento che li sta facendo diventare degli eroi della sinistra.

Mentre tutto ciò che sta accadendo in questo paese è interessante, vivo, preoccupante, decisivo, ci si chiede: ma cos’è che interessa davvero al maggior partito di opposizione, quand’è che si mobilita davvero?
Basta una dichiarazione di D’Alema, come in questi giorni; oppure altre volte una dichiarazione di Veltroni, e si capisce cosa sta davvero a cuore a quel partito dal 1994 in poi, in tutte le sue evoluzioni. Mentre l’Italia si decompone gridando aiuto, il Pd è impegnato nella Guerra delle Due Rose tra i Lancaster e gli York, che dura da molti anni e durerà ancora tanto. Veltroni si impegna ormai soltanto per distruggere D’Alema, D’Alema si impegna soltanto per distruggere Veltroni. (Sono anche impegnati a dichiarare che tutto questo non è affatto vero) Tutti gli altri componenti del partito sono schierati con l’uno o con l’altro e contano i punti messi a segno da D’Alema contro Veltroni e viceversa. Nella sostanza, il motivo principale per cui un’opposizione vera in Italia non c’è, è che le due personalità politiche più rilevanti dopo Berlinguer sono impegnate da anni nella distruzione l’altro. E stanno vincendo tutt’e due.
21 dicembre 2009

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Papà Noel ...























.. doit etre une femme.

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giovedì 24 dicembre 2009

Il lieto annuncio


Dal Manifesto, la vignetta di Vauro del 24.12.09

Il resto lo nascondi qui :)

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Per questo governo i migranti sono braccia e non persone

Su Liberazione di oggi 23 Dic. '09, questa intervista ad Amabile Carretti, del Dipartimento Immigrazione della CGIL di Reggio Emilia (clicca sull'immagine dell'articolo per ingrandirlo)

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martedì 22 dicembre 2009

Vero o falso -LE CLASSIFICHE DEL TURISMO DELLA SIGNORA BRAMBILLA

di La redazione de La voce. info 22.12.2009

“Il lavoro che è stato fatto e la grande immagine che il nostro paese ha in tutto il mondo e che mantiene e conserva, fanno sì che l’Italia continui ad essere la prima destinazione ricercata dai turisti di tutto il mondo. Un viaggio in Italia è il sogno di ogni persona.” – Michela Vittoria Brambilla, Ministro del Turismo – intervistata al Tg4, edizione serale, 18/12/2009

Falso. Secondo l’Organizzazione mondiale del Turismo, l’Italia è già da alcuni anni in quinta posizione nella classifica dei paesi con più turisti internazionali e risulta essere al quarto posto per ricavi dal turismo internazionale. Davanti al nostro paese ci sono nell’ordine, Francia, Stati Uniti, Spagna e Cina. Inoltre, secondo il recente rapporto del World Economic Forum, l’Italia si trova al ventottesimo posto per competitività dell’industria turistica, addirittura ultimi nell’Europa a 15.

Versione video:


*
» Vero o Falso? Michela Brambilla al TG4 - 18 dicembre 22.12.2009

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sabato 19 dicembre 2009

Con i nostri migliori auguri di Buone Feste! - la redazione



Noi prevarremo! .. un giorno ..
intanto .. Buone Feste a tutt*!!
la redazione

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mercoledì 16 dicembre 2009

Il corpo di Berlusconi - L'analisi di Filippp Ceccarelli

da: Repubblica on line

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domenica 13 dicembre 2009

INERZIE

di Rossana Rossanda, da Il Manifesto on line

Tanto tuonò che piovve. Da poche ore il premier Berlusconi ha denunciato al partito popolare europeo, a Bonn, di essere un perseguitato politico in Italia. E chi lo perseguita? L'Alta corte costituzionale, che non è più supremo istituto di garanzia ma organo di parte, e precisamente di sinistra, grazie alle nomine fatte da tre presidenti della Repubblica di sinistra che si sono susseguiti da noi, i noti estremisti Scalfaro, Ciampi e Napolitano. Non solo: un partito di giudici, clandestino ma efficiente, gli scatena contro una valanga di calunniose vertenze giudiziarie. Stando così le cose, egli ha dichiarato solennemente al Ppe che intende cambiare la Costituzione italiana del 1948 e lo farà con tutte le regole o senza. Già in passato l'aveva disinvoltamente definita di tipo «sovietico».

l Ppe è rimasto di stucco. Il Presidente Napolitano, di solito assai prudente, ha definito il discorso «un violento attacco alle istituzioni», il premier gli ha risposto con insolenza: «Si occupi piuttosto della giustizia». Il Presidente della Camera, Fini, che aveva preso le distanze, si è sentito ribattere: «Ne ho abbastanza delle ipocrisie».
La reazione del paese è stata nulla. Probabilmente molti hanno scosso privatamente la testa. Come la regina d'Inghilterra, l'Alta corte non risponde ai vituperi che le vengono rivolti, soltanto la Camera potrebbe denunciare il premier per attentato alle istituzioni, ma la maggioranza della Camera ce l'ha lui. Il suo alleato, Bossi, ne ha elogiato «le palle», argomento decisivo per tutti e due. Il Popolo della libertà ha annunciato per domenica a Milano una manifestazione a suo sostegno.
Il presidente Casini ha lamentato che Berlusconi, per essere stato votato dal 35 per cento del paese, crede di esserne il padrone. Il leader del Pd Bersani si è doluto di aver ricevuto, testualmente, un «cazzotto» ma si ripromette di avviare ugualmente assieme a Berlusconi le più urgenti riforme istituzionali. L'ex pm Di Pietro ha gridato con qualche approssimazione: «E che si aspetta per dire che siamo nel fascismo?», non senza aggiungere: «E se succede qualche incidente?». Alcuni giornali parlano di stato d'emergenza, la sinistra della sinistra ha emesso alcune strida o ha parlato d'altro.
Ora, ci rifiutiamo di credere che la metà del paese che non ha votato Berlusconi ne trangugi anche stavolta le escandescenze. Certo una maggioranza non si abbatte che con un'altra maggioranza, ma questa va preparata non essendo affatto detto che ci sarebbe già oggi. E per molti motivi. Perché quando la detta metà ha avuto un suo governo, non ha ritenuto urgente né risolvere il conflitto di interessi né regolare il sistema radiotelevisivo, né darsi una legge elettorale decente - provvedimenti che non sarebbero stati niente di straordinario, soltanto la premessa di un quadro politico decoroso. Anche per questo la tela della democrazia, faticosamente tessuta nella Resistenza, si è andata sfilacciando, la crisi dei partiti è stata salutata dal più stolto degli entusiasmi, nulla di più affidabile ed efficace essendo stato messo al loro posto, socialisti e comunisti si sono pentiti di essere stati tali e la sinistra della sinistra non ha saputo che frammentarsi. E siamo arrivati a questo punto.
È l'ora di finirla di lamentarsi e di aspettare qualche leader miracoloso. Siamo noi, la gente che cerca di battersi con la Cgil, giovani e precari senza speranza, coloro che sono andati alla manifestazione del Nobday, gli piacesse Di Pietro o no, visto che nessun altro aveva pensato di promuoverla, siamo noi insomma la parte attiva di quella metà d'Italia che incassa botte da troppi anni. Andiamo a chieder conto a chi abbiamo votato fino a ieri di quel che sta facendo o non facendo oggi, senza né astio né affidamento. Proponiamo a chi lo vuole di metterci a discutere subito e a medio termine. Finiamola di lamentarci di non essere rappresentati. Siamo adulti e vaccinati. Rappresentiamoci.

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La grande anomalia nell'Italia del Cavaliere

di Eugenio Scalfari, da Repubblica on line

C'È un'anomalia al vertice istituzionale dello Stato. L'abbiamo scritto varie volte ed Ezio Mauro l'ha di nuovo precisato con chiarezza subito dopo il discorso di Silvio Berlusconi all'assemblea del Partito popolare europeo a Bonn. L'anomalia sta nel fatto che il presidente del Consiglio e capo del potere esecutivo disconosce l'autonomia del potere giudiziario; disconosce la legittimità degli organi di garanzia a cominciare dal Capo dello Stato e dalla Corte costituzionale e ritiene che il premier, votato dal popolo, detenga un potere sovraordinato rispetto a tutti gli altri.

Questa situazione - così ritiene il premier - esiste già nella Costituzione materiale, cioè nella prassi politica e nella convinzione dello spirito pubblico, ma non è stata ancora introdotta nella Costituzione scritta e ad essa si appoggiano i poteri di garanzia e la magistratura per contestare la Costituzione materiale. Bisogna dunque modificare la nostra Carta anzi, dice il premier, bisogna cambiarla adeguandola allo spirito pubblico. Lui si farà portatore di quel cambiamento, prima o poi. Quando lo giudicherà opportuno. A quel punto la situazione sarà pacificata, un nuovo equilibrio sarà stato raggiunto, il governo potrà lavorare in pace, i processi persecutori contro il presidente del Consiglio saranno celebrati solo quando il suo mandato sarà terminato e la sovranità della maggioranza sarà in questo modo tutelata.

L'anomalia ha notevoli dimensioni. Il fatto che Berlusconi l'abbia descritta e raccontata con parole sue in un congresso del Partito popolare europeo cui appartiene, denuncia di per sé la gravità di questa situazione, ma ancora di più questa gravità emerge dal fatto che non vi siano state contestazioni in quell'assemblea. L'Unione europea riconosce e fa propria una carta di diritti che vale per tutti gli Stati membri. Di questa carta i principi dello Stato di diritto e dell'indipendenza dei poteri costituzionali sono parte integrante. Sicché è molto preoccupante che uno dei principali esponenti del Partito popolare europeo, a chi gli chiedeva un commento sul discorso di Berlusconi, abbia risposto: è una questione interna alla politica italiana. Quando si tratta dei principi della costituzionalità europea non esistono questioni interne dei singoli Stati membri che possano sfuggire al vaglio degli organi dell'Unione. Credo che questo problema andrebbe formalmente sollevato dinanzi al Parlamento di Strasburgo e dinanzi al presidente del Consiglio dei ministri dell'Unione.

Per quanto riguarda il nostro "foro interno" per ora l'anomalia resta, ma verrà al pettine nei prossimi giorni sulla questione che più sta a cuore al premier, quella cioè della sua posizione giudiziaria rispetto ai tribunali della Repubblica. Lì avverrà il primo scontro. È ormai evidente che il metodo della "moral suasion", utilmente praticato dai nostri Capi di Stato nei confronti del governo fin dai tempi di Luigi Einaudi, non vale più. Esso è stato possibile per sessant'anni fino a quando le diverse posizioni politiche si confrontavano in un quadro di valori e principi condivisi; ma questo quadro di compatibilità è ormai andato in pezzi. Le varie istituzioni e i poteri dei quali ciascuna di esse ha la titolarità sono dunque l'uno in presenza degli altri senza più ammortizzatori di sorta. Gli angoli non sono più arrotondabili ma spigolosi. Il rischio è una prova di forza interamente istituzionale.
L'anomalia berlusconiana ci ha condotto a questo punto, a questo rischio, a questo pericolo. Molti pensavano che tutto si riducesse a problemi di galateo e di linguaggio. Non era così ed ora la dura sostanza è emersa in tutto il suo rilievo.

* * *

Abbiamo scritto più volte che l'anomalia populista è presente in modo particolare nello spirito pubblico del nostro paese. Ma non soltanto. La tentazione autoritaria è presente in molti altri luoghi. Autoritarismo e populismo spesso sono fusi insieme e costituiscono una miscela esplosiva, ma talvolta sono disgiunti. La vocazione al cesarismo a volte è alimentata dal conservatorismo di opinioni pubbliche sensibili agli interessi di classe e alla difesa di privilegi. Oppure dall'emergere di interessi nuovi che chiedono riconoscimento e rappresentanza.
Nella storia moderna la tentazione autoritaria è stata molto presente nell'Europa continentale, talvolta con modalità aberranti oppure con caratteristiche innovative. Ma ha innescato in ogni caso processi avventurosi, forieri di guerre e di rovine materiali e morali. I principi di libertà ne sono stati devastati.
Di solito quando ci si inoltra in questo tipo di analisi si rievoca l'esperienza del fascismo italiano. Esso avviò anche alcuni processi innovativi, ottenuti tuttavia con la perdita della libertà, con l'esasperazione demagogica del nazionalismo e con un generale impoverimento della società. Ma un altro esempio, con caratteristiche molto diverse, era già avvenuto in Europa un secolo prima e fu il bonapartismo. Andrebbe storicamente ripercorso il bonapartismo perché rappresenta una vicenda per molti aspetti eloquente di come si passa da una fase rivoluzionaria ad una fase moderata e poi ad una svolta autoritaria che aveva in grembo la fine del regime feudale, l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, pagando però queste innovazioni con milioni di morti in un quindicennio di guerre continue e con la perdita della libertà.

Il generale Bonaparte rappresentava un'anomalia rispetto al regime moderato del Direttorio, nato sulle ceneri del Terrore robespierrista. La sua vocazione autoritaria non aveva nulla di populistico ma era appoggiata da un'opinione pubblica che voleva a tutti i costi una pacificazione. Napoleone fu visto come lo strumento di questa pacificazione e fu l'appoggio di quell'opinione pubblica che gli consentì un colpo di Stato che non costò neppure una vittima. Il 18 brumaio del 1799 suo fratello Luciano Bonaparte, presidente dell'assemblea dei Cinquecento, con l'appoggio del generale Murat, sciolse quell'assemblea con la scusa che essa era piena di giacobini e consegnò il potere a suo fratello Napoleone. Il seguito è noto.
Non abbiamo nulla di simile, non c'è un generale Bonaparte, non c'è un generale Murat, non ci sono fantasmi militareschi. Ma c'è un'opinione pubblica spaccata in due e una classe dirigente anch'essa spaccata in due. C'è una tentazione autoritaria. C'è una maggioranza conservatrice formata da piccoli e piccolissimi imprenditori e lavoratori autonomi che sperano di ricevere tutela e riconoscimento. E c'è un'ampia clientela articolata in potenti clientele locali, legate al potere e ai benefici che il potere è in grado di dispensare.

Questa è l'anomalia. La quale ha deciso di non esser più anomalia ma di rimodellare la Costituzione. Non riformandone alcuni aspetti ma cambiandone la sostanza. Non più equilibrio tra poteri e organi di garanzia, ma un solo potere sovraordinato rispetto agli altri. L'Esecutivo che si è impadronito, con la legge elettorale definita "porcata" dai suoi autori, del potere legislativo e si accinge ora a mettere la briglia al potere giudiziario e agli organi di garanzia.
Sì, bisogna rivisitarla la storia del 18 brumaio del 1799 perché c'è un aspetto che ci può riguardare molto da vicino. Del resto, anche il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925 va riletto e meditato. Ci sono momenti storici nei quali l'assetto di uno Stato viene sconvolto e capovolto. Dopo nulla sarà più come prima. Nessuno si era reso conto di ciò che stava per accadere. Quando accadde era ormai troppo tardi per impedirlo.

Post Scriptum. La vicenda Spatuzza-Graviano ha dato luogo a qualche fraintendimento che è bene chiarire. A me Spatuzza non piace affatto e i Graviano meno ancora, ma la cronaca ha le sue regole che vanno rispettate. E perciò ricordiamo: Spatuzza ha dichiarato in processo di aver saputo dell'accordo con Berlusconi e Dell'Utri da Giuseppe Graviano. Il quale ha rifiutato di deporre e ha detto che parlerà solo quando sarà venuto il momento di parlare. Chi invece ha detto di non aver mai conosciuto Dell'Utri e tanto meno Berlusconi è il fratello Filippo Graviano, del quale Spatuzza non ha mai parlato. Questo dice la cronaca e non altro

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sabato 12 dicembre 2009

Al cuore dello stato

di Valentino Parlato, da Il Manifesto online

Siamo a una crisi istituzionale, dell'equilibrio tra i poteri costituzionali della Repubblica, come non ne ricordo. A questo punto mi viene da scrivere che siamo alla vigilia di un colpo di stato o al 25 luglio di Silvio Berlusconi (per i più giovani ricordo che il 25 luglio il Gran consiglio fascista liquidò Benito Mussolini). L'aggressività smodata del presidente del consiglio è sintomo della sua insicurezza e, quindi, della volontà di fare il colpo di stato, sferrare l'attacco finale. Vorrei ricordare che il 12 ottobre di quest'anno Il Giornale (la proprietà è nota) scriveva: «Se eleggessimo noi l'uomo al Quirinale?» L'annuncio della volontà di fare dell'Italia una repubblica presidenziale, non all'americana, ma piuttosto fascista.

Silvio Berlusconi ha scelto il congresso del Partito popolare europeo, a Bonn, per sferrare un attacco durissimo, e con la volgarità che si accoppia alla violenza, alla magistratura, alla Corte costituzionale e ai presidenti della Repubblica (gli ultimi tre, tutti di sinistra e tutti responsabili dei suoi guai). In sintesi l'attacco centrale è alla Costituzione che va violata, roba di un passato da rigettare. Mai un riferimento negativo al fascismo o, positivo, alla resistenza o anche alle potenze che sconfissero Hitler e Mussolini. Di conseguenza, il suo stato maggiore chiama a una grande manifestazione a Milano dei suoi sostenitori.
A Bonn non mi risulta che abbia avuto applausi, la Merkel si è tenuta al no comment. In Italia ci sono state le reazioni non solo di Di Pietro, ma anche di Fini che ha voluto ricordare a Berlusconi gli articoli 1, 134 e 136 della Costituzione che per Fini è ancora vigente. E, sempre Fini, si augura che «il premier trovi modo di precisare meglio il suo pensiero». Ma un Berlusconi che proclama, anche a Bonn, di «avere le palle» non rettifica. Sarebbe un suicidio. Anche il Quirinale (dove c'è il terzo presidente di sinistra) ha espresso «profondo rammarico e preoccupazione» per «il violento attacco» alla Costituzione. Bene, ma questo non mi sembra tempo di «rammarichi». Eloquente il silenzio (almeno fino a ieri sera) del presidente del Senato.
Ripeto, e temo di non sbagliare, siamo alla liquidazione della Costituzione e di tutti i poteri costituenti, compreso il Parlamento. Occorre produrre, d'urgenza una risposta proporzionata al pericolo. E, francamente Bersani, il segretario del maggiore partito di opposizione, non può limitarsi a dar ragione a Napolitano e dire che i popolari europei, sentendo Berlusconi si sono resi conto dei pericoli del populismo. Lui, Bersani e il suo partito, che fanno?
Oggi a Roma c'è una grande manifestazione sindacale, di lavoratori qualificati e importanti: pubblico impiego e istruzione: lo Stato e la cultura. Non possono fermarsi alle legittime e giuste rivendicazioni sindacali. Debbono andare oltre. In queste settimane è in gioco la democrazia, l'eguaglianza (almeno formale) tra i cittadini.
Tutti dobbiamo metterci in movimento: non possiamo attendere tranquilli la grande manifestazione di Milano per l'aspirante duce Silvio Berlusconi.

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venerdì 11 dicembre 2009

Nichi Vendola Presidente Regione PUGLIA 2010 - VIDEO LETTERA

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martedì 8 dicembre 2009

Saluteremo il signor padrone



Giovanna Marini e Francesco De Gregori

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Il popolo viola ( pagina FB )

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lunedì 7 dicembre 2009

La partita dell'identità sul corpo delle donne

di Wassyla Tamzali (*)
(*) Femminista, avvocata algerina Wassyla Tamzali, avvocata algerina, ex direttrice della commissione dei diritti delle donne dell'Unesco, con Une femme en colère, lettre d'Alger aux Européens désabusés (Gallimard, 9,50 ) affronta la questione dell'identità interrogando gli europei post-moderni sulla questione, sempre di attualità e fonte di polemiche, delle «donne musulmane», diventata «l'emblema del rapporto tra i mondi occidentale e musulmano».

- Mentre si discute di identità nazionale, tu parli di dimissione del pensiero occidentale di fronte ai comunitarismi di ogni tipo. Cosa vuoi dire?


- L'identità nazionale ha un senso quando c'è una minaccia, cioè nella mobilitazione contro un invasore, nelle lotte di liberazione. Ma qui non si tratta di invasori, ma di immigrati. Contemporaneamente, abbiamo in risposta delle rivendicazioni culturaliste e identitarie da parte di diversi gruppi. Per esempio, i maghrebini, francesi di seconda o terza generazione - non i primi arrivati, che erano preoccupati dai problemi della casa, della scuola, dell'integrazione - che rivendicano un'identità basata sull'islam. Ma questo altro, che è visto come pericolo potenziale per la nazione francese, se lo si cacciasse dove andrebbe? L'unica strada politica e filosofica che vedo è quella di considerare queste persone come componenti, con le loro differenze, di una cultura francese o italiana ecc. Ma invece di applicare una politica eguale per tutti, si tende a creare delle sottocategorie di residenti. Mi spiego. Se una donna ci dice «porto il velo», mi chiedo cosa vuol dire il velo per la mia coscienza moderna e femminista. La questione femminile è l'anello debole di tutta la costruzione, perché l'eguaglianza non si è ancora compiuta. Questa questione mette in evidenza anche una debolezza del pensiero femminista, che si rivela incapace di rispondere ai travestimenti di senso quando si fa riferimento all'islam e si mette in avanti la morale sessista dominante nella religione musulmana.

- Nella tua lettera agli europei disincantati ti presenti come «donna appartenente a una società di tradizione musulmana». E difendi una punto di vista universalista...
- Sì, sono femminista, laica e universalista, ma di origine musulmana. Mi identifico così, perché, come in tribunale, per avere accesso agli atti bisogna essere tra gli accusati. Dire questo, non vuol dire che si fa automaticamente riferimento alla religione in sé, ma soltanto che bisogna tener conto della storia ed essere musulmani, come del resto essere ebrei, nella nostra società è quasi automaticamente assimilato a un'etnia o a una nazione, anche se non le si rappresenta. C'è poi una categoria di militanti, che si dicono femministe cattoliche, protestanti, ebree, musulmane, cioè che pongono subito la lotta, l'interrogazione dall'interno del dogma a cui appartengono. Ho partecipato ad aprile a un importante incontro in Malesia del movimento «Per l'uguaglianza». Queste donne sono musulmane e l'affermano: non vogliono più essere discriminate in nome della religione. C'è poi un'altra categoria, le femministe islamiche, presenti quasi esclusivamente in Europa, legate in varia misura agli islamisti e finanziate da essi. Lottano per l'eguaglianza coranica. La sola libertà che si prendono è dire che l'islam è stato mal interpretato e restano nella legalità islamica.

- Il problema è che oggi l'universalismo dei valori occidentali è evocato a volte per mascherare sentimenti xenofobi.
- È questa la grande difficoltà della nostra lotta. Abbiamo di fronte gli islamofobi che sembrano condividere alcune nostre idee. Il dibattito sull'identità nazionale avviato in Francia dal ministro Eric Besson è un modo per tornare a Charles Maurras, invece di riaffermare l'universalità, solo modo per vivere assieme le differenze. Besson dovrebbe occuparsi dell'identità europea, di cui non parla, invece di tornare al XIX secolo. L'identità non è mai normativa ed è fascismo voler stabilire delle norme identitarie. Ma per rispondere a Besson è pericoloso difendere l'islamismo. Significa fare come Bush, che ha risposto all'estremità dell'11 settembre con un ritorno alla colonizzazione. Da una parte e dall'altra, tutte le rivendicazioni identitarie finiscono per giocarsi sul corpo delle donne. Allo tsumani identitario europeo si risponde con uno tsunami differenzialista. E così facendo si fa il gioco degli islamisti, mentre le femministe maghrebine avranno sempre maggiori difficoltà ad esprimersi, perché tutto quello che succede in Europa viene guardato con estrema attenzione nei paesi del sud.

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A GAZA A FINE DICEMBRE SAREMO MIGLIAIA PER DIRE BASTA CON L'ASSEDIO di Forum Palestina - 23 novembre 2009


"La Gaza Freedom March non si limiterà a deplorare la brutalità israeliana, ma agirà per fermarla”.
A fine anno, migliaia di volontari provenienti da tutto il mondo si sono dati appuntamento al valico di Rafah, il confine della Striscia di Gaza con l’Egitto, in quella che si annuncia come la più grande operazione di solidarietà internazionale della storia recente. Con la Gaza Freedom March, In tutto il mondo ci si sta mobilitando per porre fine alla tortura del popolo palestinese di Gaza, rispondendo all’esortazione contenuta nell’appello dell’associazione statunitense Code Pink: “Con la Gaza Freedom March, l’umanità non si limiterà a deplorare la brutalità israeliana, ma agirà per fermarla”.
Ad oggi, la Gaza Freedom March vede l’adesione e la partecipazione di associazioni, comitati e forze sociali dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dall'Italia, dall’Irlanda, dal Belgio, dalla Svizzera, dalla Spagna, dalla Grecia, dalla Germania, dalla Svezia, dalla Danimarca, dalla Finlandia, insomma da tutta l’Europa, oltre che dagli Stati Uniti, dal Canada, dal Messico, dalla Nuova Zelanda e dall’Australia. Non mancherà, inoltre, la presenza di volontari dal mondo arabo e quella di attivisti israeliani contro l’occupazione.La partecipazione italiana sarà all’altezza della situazione. Ancora una volta senza alcun sostegno da parte di partiti o istituzioni decine di volontari hanno risposto all’appello del Forum Palestina e si sono organizzati autonomamente, come autonomamente sono state organizzate tutte le iniziative di solidarietà con il popolo palestinese di questi anni, comprese le grandi manifestazioni durante l’operazione Piombo Fuso. Alla Gaza Freedom March hanno aderito molte personalità autorevoli della cultura e della politica. Jimmy Carter e Nelson Mandela sono fra quelli di cui è stata annunciata la presenza alla Marcia, ma l’elenco delle adesioni comprende Omar Barghouti (fondatore della Campagna Palestinese per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni - BDS), Mustafa Barghouti (deputato del Consiglio Legislativo Palestinese), Noam Chomsky, il deputato inglese George Galloway, Arun Gandhi, i registi Aki Kaurismak, Ken Loach e Oliver Stone, gli scrittori Naomi Klein e Gore Vidal, il Premio Nobel per la Pace Mairead Maguire, Jeff Halper (fondatore del Comitato Israeliano Contro la demolizione delle Case) e moltissimi altri. Fra i sostenitori italiani della Marcia, gli eurodeputati Luigi De Magistris e Gianni Vattimo, l’ex vicepresidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini, gli ex europarlamentari Vittorio Agnoletto e Marco Rizzo, oltre ad esponenti della cultura, dell’associazionismo e del sindacalismo di base. Dobbiamo lavorare ancora affinché il sostegno alla Gaza Freedom March cresca e per non permettere che su questa iniziativa cali la solita censura del silenzio, perché portare il nostro messaggio di solidarietà direttamente al popolo palestinese è importante, ma è fondamentale la battaglia politica qui, in un Paese dove la quasi totalità del mondo politico e dell’informazione è letteralmente schiacciata sul sostegno all'oocupazione sionista e alla sua terroristica concezione della sicurezza. Cominciamo a liberare Gaza dall'assedio.
Con la Palestina nel cuore, fino alla vittoria!

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Relativismo. Un bene-La Verità non esiste. Ci sono tante verità di cui nessuno ha il monopolio


di Stefania Friggeri

Ai primi di agosto Benedetto XVI ha lanciato da Castelgandolfo un atto di accusa preciso: nel mondo contemporaneo ci sono “ideologie e filosofie, ma sempre più anche modi di pensare e di agire che esaltano la libertà quale unico principio dell’uomo in alternativa a Dio, e in tal modo trasformano l’uomo in Dio”. Ovvero: l’idea di “libertà individuale ed arbitrarietà” porta l’uomo a decidere in autonomia del bene e del male e dunque al relativismo.

Ancora una volta Ratzinger ribadisce lo stereotipo popolare secondo cui il relativismo coincide con la notte in cui tutte le vacche sono nere, laddove relativismo significa invece confronto rispettoso e aperto della mia con la tua verità: verità con la minuscola perchè il confronto avviene su di un piano paritario; verità al plurale perchè relativismo vuol dire che a nessuno viene riconosciuto a priori il monopolio della Verità. Ma la conclusione di Ratzinger sbalordisce: il binomio individualismo/relativismo spiegherebbe il riaffacciarsi nell’età contemporanea del nichlismo (nihil, niente, viene vissuto come principio basilare su cui fondare un’etica universale, valida per ogni uomo) e la diffusione di un tipo di cultura simile a quello degli anni che hanno portato al nazismo (sic!): “I lager nazisti… possono essere considerati il simbolo estremo del male…che si apre quando l’uomo dimentica Dio e a Lui si sostituisce…Essi sono…la punta culminante di una realtà più ampia e diffusa , spesso dai confini sfuggenti”. Dunque i modi di pensare e di agire che esaltano la libera autodeterminazione e non riconoscono a Dio il ruolo di unico principio e fondamento dell’etica, generano nichilismo e tragedie assimilabili all’ideologia nazista: ieri i lager, oggi la profonda crisi del mondo contemporaneo (tradotto: il nichilismo si esprime storicamente nella secolarizzazione di società ove non sono più rispettati i “valori non negoziabili”). In primo luogo: è paradossale che la denuncia degli orrori cui ha condotto “l’umanesimo ateo” venga da parte di una Chiesa che, in nome dell’ “umanesimo cristiano” ha scritto pagine piene di sangue nei secoli in cui fanatismo e ignoranza accecavano le menti e la coscienza. Ancora: la Chiesa cattolica proclama di avere il monopolio della conoscenza del Bene (da cui certo non esclusa e che, anzi, ha contribuito a forgiare) ma su questa strada non sola perchè le religioni nel mondo sono decine ed anzi ci sono molte differenze fra di loro, persino fra le tre abramitiche (vedi il caso del matrimonio: gli ebrei ammettono il divorzio, i cattolici lo vietano, i musulmani prevedono anche 4 mogli). Infine: non è intellettualmente corretto né moralmente magnanimo mettere nello sgabuzzino della storia e derubricare a merce di poco pregio l’eredità che ci è stata lasciata da tutte le menti illuminate lungo i secoli, nelle diverse culture: non solo i filosofi ma anche i poeti, i romanzieri, gli artisti, tutti i pensatori e i creativi che si sono interrogati sul grande mistero della vita, cercando di dare un senso al nostro breve e faticoso cammino. Ma Ratzinger mette Roma e il suo magistero al centro del mondo: il mondo riuscirà a liberarsi dal vizio e dalla corruzione solo quando la voce divina si alzerà più alta della voce che l’uomo, i progenitori che avevano mangiato il frutto dell’albero della conoscenza, li ha ammoniti dicendo che sarebbero stati giudicati in base a come avrebbero usato della loro nuova condizione? di scegliere fra il bene e il male? Se ne deduce che la libertà è stata il presupposto essenziale, originario della loro nuova vita, e la libertà c’è solo in una condizione di autonomia (da autos/nomos: da me stesso/norma, regola) ovvero sono io che mi do da me stesso la norma da seguire, decidendo cosa è bene e cosa è male). E dall’esterno possono arrivare consigli, sollecitazioni, ma mai limitazioni all’agire in autonomia. Come invece accade da quando in Italia la lobby curiale, facendo sì che per legge siamo tutti rispettosi della voce di Dio (quella proclamata da Roma), ci priva di quella libertà che sta a fondamento della vita democratica (e questo è l’aspetto più grave in un paese dalla democrazia traballante come il nostro). Benedetto XVI ci vuole salvare ma, facendo Dio legislatore della nostra vita, lancia una vera e propria offensiva contro quell’aspirazione alla libertà che, ignorata per secoli anche in Occidente, ha trovato voce solo col movimento rivoluzionario dell’Illuminismo. I cui sostenitori nella Roma papale, i “giacubbini”, venivano imprigionati per la loro fede nella Bibbia del secolo dei Lumi, l’Enciclopedia. Di cui nel 1752 fu sospesa la pubblicazione perchè accusata dai gesuiti di sedizione religiosa e politica. E così era infatti perchè l’Illuminismo pone la ragione come tribunale supremo di ogni parola umana: così scrive Kant nella sua celebre “Risposta alla domanda cos’è l’illumunismo”, riprendendo il monito del poeta latino Orazio“sapere aude” (abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza, di conoscere): “L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Sapere aude!”


(1 dicembre 2009)


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Reggio Fahrenheit: due canzoni sul NO B DAY

Reggio Fahrenheit: due canzoni sul NO B DAY

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domenica 6 dicembre 2009

due canzoni sul NO B DAY



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sulla manifestazione di ieri 5 Dicembre 2009



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sabato 5 dicembre 2009

Berlusconi - dimissioni: ultimo appello del No B Day

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BUON 5 DICEMBRE A TUTTI

BUON 5 DICEMBRE A TUTTI


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venerdì 4 dicembre 2009

Spot No Berlusconi Day


ascoltate lo spot avviando il video: è simpatico!!
viva la creatività dei giovani del No B. Day!

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giovedì 3 dicembre 2009

No Berlusconi Day!!!


Reggio Fahrenheit aderisce alla manifestazione
e trasmetterà la diretta in streaming, cioè qui nel sito,
coloro che hanno Sky potranno vedere la manifestazione su RaiNews 24, oppure su YouDem (canale Sky N. 813)

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mercoledì 2 dicembre 2009

Contro la crisi in quindici mosse

da: Sbilanciamoci! (Importante: in allegato l'intera contromanovra di Sbilanciamoci: Rapporto2010.pdf )

La campagna Sbilanciamoci! ha presentato il suo Rapporto sulla Finanziaria 2010. Ecco il capitolo con le proposte.
Fino ad oggi le misure di Tremonti e di Berlusconi sono state dei “pannicelli caldi”. In questi mesi i responsabili del governo si sono attardati prima a sminuire i dati della crisi (affannandosi a sdrammatizzare le analisi degli istituti di ricerca) e poi a spandere inutile ottimismo, invece di affrontare la crisi con iniziative e politiche adeguate alla gravità della situazione.
I diversi provvedimenti varati in questi mesi o sono pure operazioni di marketing o misure molto modeste che non incidono sul corso della crisi.
Sbilanciamoci! propone un intervento equivalente al 1,6% del Pil del 2010 e allo 0,9% del 2011. In tutto 40 miliardi, coperti in parte da nuove entrate e da risparmi sulla spesa pubblica e in parte generati dal necessario indebitamento per far fronte alla crisi
Proponiamo delle misure concrete, immediate, che nello stesso tempo cercano di disegnare un nuovo modello di sviluppo, fondato sulla sostenibilità ambientale, i diritti e la qualità sociale, un nuovo welfare fondato sulla giustizia e l’eguaglianza, politiche di solidarietà e di cooperazione internazionale.
Ci sono alcune priorità di cui tenere conto: arginare l’impoverimento sociale e la perdita di posti di lavoro, difendere il potere d’acquisto delle famiglie, dei lavoratori e dare reddito a disoccupati e a chi – come i pensionati a regimi modesti – si trova fuori dal mercato del lavoro. Si tratta di rilanciare con forza la regia e la forza delle politiche pubbliche capaci di orientale i comportamenti e le proposte dei mercati, riportare l’economia finanziaria al servizio dell’economia reale, innovare le produzioni e i consumi individuali e collettivi sulla base di un nuovo modello di sviluppo, di cui abbiamo sempre più bisogno.
Dobbiamo abbandonare le vecchie strade, mettere fine a privilegi e corporativismi, redistribuire la ricchezza (perché questa è la vera condizione per crearne della nuova) e ridurre le diseguaglianze, ridare speranza a un paese che altrimenti rischia di essere stritolato da una crisi che accentua le debolezze strutturali di un sistema economico e istituzionale da tempo in difficoltà.
Serve un nuovo modello di sviluppo per un’Italia capace di futuro.

5 PRINCIPI DA SEGUIRE PER UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO
La crisi rappresenta nello stesso tempo un grave pericolo, ma anche una opportunità importante per rilanciare l’economia del paese e un nuovo modello di sviluppo legato a politiche di indirizzo e legate a specifici provvedimenti che possono orientare gli investimenti, le produzioni e i consumi in una direzione diversa da quella del passato. Fronteggiare questa crisi con i modelli e le ricette del passato sarebbe sbagliato e miope. Bisogna avere il coraggio di intraprendere nuove strade, lavorando per un nuovo modello di sviluppo fondato sulla sostenibilità ambientale, la qualità sociale, i diritti, un nuovo modo di produrre e di consumare.
Cinque sono a nostro giudizio le direttrici importanti di questo nuovo modello di sviluppo:
un ruolo più incisivo dell’intervento pubblico capace di dare regole vere e rispettate ai mercati finanziari, di disegnare una vera politica industriale, di attivare meccanismi di incentivo e di stimolo dell’economia reale. Si tratta di ridisegnare un sistema in cui il mercato – e gli operatori privati – non siano lasciati senza regole, ma possano agire dentro una cornice in cui prevalga il bene comune, la responsabilità sociale, l’interesse collettivo
il principio della sostenibilità ambientale come fondante l’idea di una green economy che rivoluzioni il modo di produrre i beni, di distribuirli e di consumarli e sia capace di cambiare pensando a nuove forme di produzione di beni immateriali e di beni materiali durevoli. Un sistema economico meno energivoro e legato all’uso di fonti rinnovabili capace di stimolare una mobilità compatibile con la salvaguardia dei territori e delle comunità;
la qualità sociale come tratto distintivo di un’economia che rimette al centro il lavoro e le persone – i loro diritti sociali inalienabili – le relazioni umane e la dimensione comunitaria della produzione e del consumo; la qualità sociale parte dalla dignità del lavoro e dai territori e dalle comunità locali e nello stesso tempo condiziona le attività e i risultati della produzione alla dimensione più alta di un’economia solidale e al servizio del bene comune;
un equilibrio diverso tra consumi collettivi e consumi individuali e tra consumi socialmente ed ecologicamente compatibili e quelli distruttivi per la società e l’ambiente; significa ripensare anche le modalità della distribuzione dei prodotti, la capacità di limitarne l’impatto ambientale e di favorire quelli che producono un più alto tasso di benessere sociale e collettivo;
il principio della cooperazione e la limitazione di quello della competizione. L’assolutizzazione del principio di competizione ha comportato disgregazione e distruttività del sistema economico e delle relazioni umane, mentre quello di cooperazione – a partire dalle relazioni tra Nord e Sud del mondo e in ambito commerciale, monetario, finanziario – può aiutare ad una crescita più armonica e a superare le crisi che stiamo vivendo.

Possono sembrare dei principi “astratti”, ma invece comportano scelte molto concrete: ad esempio investire nei pannelli solari e non nelle centrali nucleari, rottamare i frigoriferi e le caldaie eco – inefficienti e non le automobili, premiare la ricerca e l’innovazione nelle imprese e penalizzare le delocalizzazioni a buon mercato, sostenere lo sviluppo locale e colpire le speculazioni finanziarie transnazionali, finanziare l’aiuto allo sviluppo ridudendo le spese militari, ridare i diritti al lavoro contrastando la precarietà, promuovere le banche locali contrastando la concentrazione oligopolistica della finanza, rispettare gli impegni di Kyoto varando tasse di scopo punitive contro gli inquinatori e le produzioni insostenibili dal punto di vista ambientale, dare più servizi sociali senza avere bisogno della social card, favorire la filiera corta e i prodotti a “chilometri zero” piuttosto che un’agricoltura distruttiva e di bassa qualità.
5 POLITICHE CONCRETE PER FRONTEGGIARE LA CRISI
Uscire da questa crisi si può con una grande capacità di “politica”, cosa che questo Governo dimostra di non possedere. Bisogna utilizzare di più e con più intelligenza la spesa pubblica, facendo pagare ai privilegiati, agli speculatori, ai settori dove è concentrata la ricchezza economica – e non ai lavoratori, alle famiglie, alle imprese – il peso di questa crisi. Servono nel periodo da oggi fino al 2011 almeno 40 miliardi di euro – una gran parte dei quali può essere trovata grazie dalla riduzione delle spese militari, dalla tassazione delle rendite, da una tassa patrimoniale e dalla cancellazione di alcune inutili grandi opere – per fare due operazioni: fronteggiare le conseguenze della crisi economica e finanziaria e rilanciare l’economia sulla base di un nuovo modello di sviluppo. È necessario intervenire in queste direzioni:

promuovere adeguate politiche del lavoro e allargare lo spettro di applicazione degli ammortizzatori sociali a tutti i lavoratori delle piccole medie e imprese e ai co.pro/interinali, eccetera sulla base delle regole esistenti per i lavoratori a tempo indeterminato delle grandi imprese (cassa integrazione e copertura fino a 8 mesi all’80% dello stipendio);
promuovere un piano nazionale di “piccole opere” e per l’ambiente (che poi così piccole non sono) ambientali e sociali, attraverso una serie di interventi legati ai lavori pubblici nel campo energetico, della mobilità, del riassetto del territorio. Ecco alcuni obiettivi da realizzare entro il 2011: 500mila impianti fotovoltaici, 500 treni per i pendolari, 20 progetti di mobilità sostenibile (1000 piste ciclabili, 5mila vetture in car sharing, 2000 nuove vetture per il trasporto pubblico locale) nelle grandi città, la messa in sicurezza di almeno 9mila scuole italiane che non rispettano le principali norme in materia (legge 626, eccetera). Questi interventi sostengono le imprese e creano posti di lavoro;
promuovere un allargamento delle politiche di welfare – non con interventi caritatevoli come la social card e i bonus bebè – ma attraverso interventi e servizi sociali mirati, permanenti e continuativi, come l’apertura di 5mila nuovi asili nido, di 1000 strutture di servizio su base territoriale a favore di disabili e anziani non autosufficienti, l’introduzione dei Livelli Minimi di Assistenza già previsti dalla legge 328 del 2000, la promozione del diritto allo studio (borse, alloggi, eccetera); si tratta di politiche che in un’accezione ampia dei welfare comprendono anche le politiche per la cooperazione allo sviluppo, la pace, il servizio civile;
sostenere il sistema delle imprese attraverso politiche di incentivo nel campo dell’innovazione e della ricerca, di sostegno all’accesso al credito, di aiuto (con interventi di defiscalizzazioni o bonus) finalizzato al mantenimento dell’occupazione e alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro precario, alla promozione di patti territoriali per il sostegno al sistema locale delle imprese;
arginare il crescente impoverimento del paese e rilanciare la domanda interna con il sostegno al potere d’acquisto dei lavoratori, delle famiglie e dei disoccupati attraverso – oltre a tutte le politiche di welfare precedentemente elencate – una serie di misure: a) l’introduzione della 14° per i pensionati sotto i mille euro lordi mensili, b) la restituzione del fiscal drag ai lavoratori dipendenti; c) la reintroduzione del Reddito Minimo d’Inserimento (cancellato nella 14ma legislatura) per i disoccupati e per chi non gode di altre forme di ammortizzatori sociali.


5 MODI PER TROVARE LE RISORSE

Dove trovare 40 miliardi per sostenere queste politiche? Da una parte è inevitabile – come hanno fatto altri paesi – ricorrere all’indebitamento pubblico. In una fase di crisi è indispensabile un uso straordinario e incisivo della spesa pubblica per impedire l’impoverimento sociale ed economico, la distruzione di parte del sistema delle imprese e delle attività economiche, favorendo il rilancio della produzione e della domanda interna. Dall’altra, è possibile recuperare risorse attraverso la politica fiscale e con risparmi mirati nella spesa pubblica per quelle politiche e misure che noi riteniamo sbagliate. Il grosso delle risorse può essere trovato in questo modo, ricorrendo solo in minima parte all’indebitamento.
Ecco cinque modi per trovare 40 miliardi contro la crisi.

accentuare la lotta all’evasione fiscale e politiche di giustizia fiscale. È impossibile quantificare gli introiti dalla lotta all’evasione fiscale, ma sicuramente si possono quantificare le risorse che in due anni entrerebbero dalle seguenti misure; a) innalzamento della tassazione delle rendite al 23%; b) aumento dell’imposizione fiscale al 45% per i redditi oltre i 70mila euro e al 49% per i redditi oltre i 200mila euro; c) introduzione o accentuazione di una serie di tasse di scopo (SUV, diritti televisivi sullo sport spettacolo, porto d’armi, pubblicità). In due anni queste misure produrrebbero 8 miliardi di entrate.
introdurre una tassa straordinaria e una tantum per i grandi patrimoni (sopra i 5 milioni di euro, il 10% più ricco della popolazione) che rappresenti una sorta di contributo straordinario in una fase di difficoltà per il paese da quelle categorie sociali che rappresentano la parte più ricca del paese. Si tratta in sostanza di una tassa patrimoniale il cui obiettivo sarebbe la raccolta, con una imposizione minima del 3 per 1000, di un introito di 10miliardi e 500 milioni di euro;
puntare sulla riduzione delle spese militari. Si tratta di una scelta obbligata rispetto a Forze armate sovradimensionate rispetto ai loro compiti costituzionali e agli obblighi internazionali. La sola cancellazione del programma di acquisizione del cacciabombardiere JSF produrrebbe un risparmio in 10 anni di ben 16 miliardi di euro, mentre la riduzione del 20% delle spese militari, sempre in due anni, un risparmio di ben 6 miliardi di euro;
rinunciare al programma delle grandi opere, che in larga misura sono inutili, costosissime e in gran parte sbagliate. Rinunciare al progetto sul ponte sullo Stretto e alle altre grandi opere previste (tra le quali, da non dimenticare, anche se per il momento senza oneri finanziari, le centrali nucleari) comporterebbe un risparmio di 3,5 miliardi in due anni;
intervenire su quella parte della spesa pubblica che potrebbe essere ridotta. Indichiamo due misure che potrebbero essere perseguite: il passaggio nella Pubblica Amministrazione all’open source che porterebbe un risparmio di ben 4 miliardi su due anni (contratti e acquisizioni di licenze) e l’abolizione dei contributi alle scuole private (ben 1 miliardo e 400 milioni in due anni) a favore degli investimenti di queste risorse nel sistema pubblico dell’istruzione.
Per l'intero Rapporto scarica l'Allegato

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martedì 1 dicembre 2009

Erri De Luca racconta l'immigrazione dal cimitero di Lampedusa

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