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domenica 23 agosto 2009

Quei morti che gridano dal fondo del mare

di Eugenio Scalfari, da Repubblica on line

È SINGOLARE (non trovo altro aggettivo) il comportamento della stampa nazionale sulla strage dei 73 migranti uccisi dal mare tra Malta e Lampedusa.
Il primo giorno, con notizie ancora incerte, tutti hanno aperto su quell'avvenimento: il numero delle vittime, la storia raccontata dai cinque sopravvissuti, i dubbi del ministro Maroni sulla loro attendibilità, le responsabilità della Marina maltese, i primi commenti ispirati al "chissenefrega" di Bossi e di Calderoli.

Ma dal secondo giorno in poi i nostri giornali hanno voltato la testa dall'altra parte. Le notizie nel frattempo sopraggiunte sono state date nelle pagine interne. Uno solo, il "Corriere della Sera", ha tenuto ancora quella strage in testata di prima pagina ma senza alcun commento. Il notiziario all'interno tende a riposizionare i fatti entro lo schema della responsabilità maltese. Il resto è silenzio o quasi. Fa eccezione "Repubblica" ma il nostro, com'è noto, è un giornale sovversivo e deviazionista e quindi non può far testo.

Comincio da qui e non sembri una stravaganza. Comincio da qui perché la timidezza, la prudenza, il dire e non dire dei grandi giornali nazionali sono lo specchio d'una profonda indifferenza dello spirito pubblico, ormai ripiegato sul tirare a campare del giorno per giorno, senza memoria del passato né prospettiva di futuro, rintronato da televisioni che sfornano a getto continuo trasmissioni insensate e da giornali che debbono ogni giorno farsi perdonare peccati di coraggio talmente veniali che qualunque confessore li manderebbe assolti senza neppure imporre un "Pater noster" come penalità minimale.

Perfino il durissimo attacco della Chiesa e della stampa diocesana, che su altri temi avrebbe avuto ampia risonanza, è stato registrato per dovere d'ufficio. Bossi, che ha orecchie attentissime a queste questioni, si è addirittura permesso di mandare il Vaticano a quel paese, definendo insensate le parole dei vescovi sulla strage del mare e invitando il papa a prendere gli immigrati in casa sua perché "noi qui non li vogliamo".
Alla vergogna c'è un limite. Noi l'abbiamo varcato da un pezzo nella generale apatia e afasia.

* * *

Ci sono varie responsabilità in quanto è accaduto nel barcone dei 78 eritrei, per venti giorni alla deriva in uno specchio di mare popolatissimo di motovedette, aerei, elicotteri, pescherecci delle più diverse nazionalità, italiani, maltesi, ciprioti, egiziani, tunisini e libici. Responsabilità specifiche e responsabilità più generali.

La prima responsabilità specifica riguarda il mancato avvistamento da parte della nostra Marina e della nostra Aviazione. Venti giorni, un barcone di quindici metri con 78 persone a bordo, sballottato dai venti tra Malta e Lampedusa, un braccio di mare poco più ampio di quello percorso da una normale regata di vela.
I ministri Maroni e La Russa dovrebbero fornire al Parlamento e alla pubblica opinione l'elenco dei voli e dei pattugliamenti da noi effettuati in quello spazio e in quei giorni. Il ministro dell'Interno finora si è limitato a chiedere un rapporto sull'accaduto al prefetto di Agrigento.

Che c'entra il prefetto di Agrigento? Il responsabile politico dei respingimenti in mare è il ministro dell'Interno che si vale della guardia costiera, delle capitanerie di porto e delle forze armate messe a disposizione dalla Difesa. Maroni e La Russa debbono rispondere, non il prefetto di Agrigento.

La seconda responsabilità specifica riguarda il pattugliamento italo-libico sulle coste della Libia. Sbandierato ai quattro venti come un grande successo diplomatico, viaggi del premier in Libia, abbracci e baci sulle guance tra Berlusconi e Gheddafi, promesse di denaro sonante e investimenti al dittatore-colonnello, viaggio del medesimo con relativa tenda a Villa Pamphili, scortesie a ripetizione, sempre del medesimo, nei confronti di quasi tutte le autorità istituzionali italiane; secondo viaggio del colonnello e seconda tenda al G8 dell'Aquila, dichiarazioni del ministro degli Esteri, Frattini, per sottolineare l'importanza dell'asse politico Roma-Tripoli.

Risultati zero. Riforma dei centri di accoglienza libici sotto controllo italiano, zero. Quei centri sono un inferno dove i migranti provenienti dall'Africa sahariana e dal Corno d'Africa sono ridotti per mesi in schiavitù e sottoposti alle più infami vessazioni fino a quando alcuni di loro vengono affidati ai mercanti del trasporto e imbarcati per il loro destino. Le vittime in fondo a quel tratto di Mediterraneo non si contano più.

In quei centri, tra l'altro, le autorità italiane dovrebbero individuare quegli immigranti che hanno titolo per essere trattati come rifugiati politici. Queste verifiche non sono avvenute. I migranti eritrei in particolare dovrebbero poter godere di uno "status" particolare come ex colonia italiana, ma nessuno se ne è occupato (e meno che mai, ovviamente, il prefetto di Agrigento).

In compenso le motovedette italiane dal primo giugno ad oggi hanno intercettato un elevato numero di barconi e li hanno respinti nel girone infernale dei centri di accoglienza libici, il che significa che le partenze dalla coste cirenaiche continuano ad avvenire in barba a tutti gli accordi.
Questo stato di cose è intollerabile. Frutto di una legge perversa e d'un reato di clandestinità che ha addirittura ispirato un gioco di società inventato dal figlio di Bossi e brevettato con il titolo "Rimbalza il clandestino".
Mancano le parole per definire queste infamità.

* * *

Ma esistono altresì responsabilità generali, al di là del caso specifico. Le ha elencate con estrema chiarezza il proprietario di un peschereccio di Mazara del Vallo da noi intervistato ieri.
Perché i pescherecci che avvistano barche di migranti in difficoltà non intervengono? Risposta: se sono in difficoltà superabili, intervengono, forniscono viveri acqua e coperte, indicano la rotta. Se sono in difficoltà gravi, li segnalano alle autorità italiane.
Segnalano sempre? Risposta: non sempre.
Perché non sempre? Risposta: se imbarchiamo i migranti sui nostri pescherecci rischiamo di perdere giorni e settimane di lavoro. Noi siamo in mare per pescare. Con gli immigrati a bordo il lavoro è impossibile.

Non siete risarciti dallo Stato? Risposta: no, per il mancato nostro lavoro non siamo risarciti.
Ci sono altre ragioni che vi scoraggiano? Risposta: chi prende a bordo clandestini e li porta a terra rischia di essere processato per favoreggiamento al reato di clandestinità. Temono di esserlo, perciò molti chiudono gli occhi e evitano di immischiarsi.

Se li portate a Malta che succede? Risposta: peggio ancora, ci sequestrano la barca per mesi e ci tolgono l'autorizzazione a pescare nelle loro acque.
Questi sono i risultati di una legge sciagurata, salutata non solo dalla Lega ma dall'intero centrodestra come un successo, una guerra vittoriosa contro le invasioni barbariche.

Questa legge dovrebbe essere abrogata perché indegna di un paese civile. Nel frattempo gli immigrati entrano a frotte dai valichi dell'Est. Non arrivano per mare ma in pullman, in automobile, in aereo, in ferrovia e anche a piedi. Alimentano il lavoro regolare e quello nero in tutta la Padania e non soltanto.
I famigerati rom e i famigerati romeni vengono via terra e non via mare. La vostra legge non solo è indecente ma è contemporaneamente un colabrodo.

* * *

Alcuni si domandano i motivi del silenzio di Berlusconi su questo delicatissimo tema. La ragione è chiara e l'ha fornita l'onorevole Verdini, uno dei tre coordinatori del Pdl insieme a La Russa e Bondi e quello che meglio di tutti conosce la natura del capo del governo essendo stato con lui e con Dell'Utri uno dei tre fondatori di Forza Italia nell'ormai lontano 1994.

Di che cosa vi stupite, ha scritto Verdini in una sua lettera al "Corriere della Sera" di pochi giorni fa ribattendo alcune domande di Sergio Romano nel suo fondo domenicale. Di che cosa vi stupite? Silvio Berlusconi, con almeno una parte di sé, è un leghista né più né meno di Bossi e quando nel '93 decise di impegnarsi in politica pensò, prima di decidersi a fondare un nuovo partito, di guidare con Bossi la Lega. Poi scelse di fondare un partito nazionale del quale il nordismo leghista sarebbe stato il pilastro più rilevante.

Così Verdini, il quale in quella lettera rivendica il merito d'aver convinto il premier all'opportunità di dar vita a Forza Italia.
Non si poteva dir meglio. C'è da aggiungere che il peso della Lega è ultimamente aumentato in proporzione diretta alla minor forza politica del premier. La Lega ha oggi una forza di ricatto politico che prima non aveva e la sta esercitando in tutte le direzioni non senza alcuni contraccolpi sulle strutture e sulle alleanze all'interno del Pdl.

Uno dei temi di dibattito di queste ultime settimane è stato il collante che spiega nonostante tutto la persistenza del potere berlusconiano e la sua eventuale capacità di sopravvivere ad un possibile ritiro di Berlusconi dalla gestione diretta di quel potere. Tra le varie spiegazioni è mancata quella a mio avviso decisiva. Il collante del berlusconismo consiste nell'appello continuamente ripetuto e aggiornato agli istinti più scadenti che rappresentano una delle costanti della nostra storia di nazione senza Stato e di Stato senza nazione.

Una classe dirigente dovrebbe rappresentare ed evocare gli istinti più nobili di un popolo, educandolo con l'esempio, spronandolo ad una visione alta del bene comune. Un compito difficile che alcune figure della nostra storia esercitarono con passione, tenacia e abilità politica.
È più facile evocare gli "spiriti animali" e questo è avvenuto frequentemente nelle vicende del nostro paese a cominciare dal "O Franza o Spagna purché se magna" e alle sue più recenti e non meno abiette manifestazioni.

Giorni fa, rispondendo nel suo giornale alla lettera di un giovane leghista a disagio ma privo di alternative alla sua visione nordista, Galli Della Loggia spiegava al suo interlocutore quale fosse l'errore in cui era incappato: una falsa prospettiva storica, un falso revisionismo che ha messo in circolazione una falsa e deteriore immagine del nostro Risorgimento.
Ho riletto un paio di volte l'articolo di Della Loggia perché non credevo ai miei occhi. Il revisionismo da lui lamentato come deformazione della nostra storia unitaria è nato negli ultimi quindici anni proprio sulle pagine del suo giornale e lo stesso Della Loggia ne è stato uno dei più autorevoli esponenti.

Meglio tardi che mai. Purtroppo di vitelli grassi da sacrificare per il ritorno del figliol prodigo oggi c'è grande scarsità. Il solo vitello grasso in circolazione è lo scudo fiscale preparato da Tremonti, che però non riguarda la questione dell'Unità d'Italia e del revisionismo politico. Festeggia soltanto gli evasori fiscali. Anche questa è una (pessima) costante nella storia di questo paese.

Continua...

martedì 28 luglio 2009

Lo stato di salute della democrazia e l'incapacità di provare vergogna

di Gianrico Carofiglio, da Repubblica on line

Un sintomo del grado di sviluppo della democrazia e in generale della qualità della vita pubblica si può desumere dallo stato di salute delle parole, da come sono utilizzate, da quello che riescono a significare. Dal senso che riescono a generare. Oggi, nel nostro paese, lo stato di salute delle parole è preoccupante. Stiamo assistendo a un processo patologico di conversione del linguaggio a un'ideologia dominante attraverso l'occupazione della lingua.


E l'espropriazione di alcune parole chiave del lessico civile. È un fenomeno riscontrabile nei media e soprattutto nella vita politica, sempre più segnata da tensioni linguistiche orwelliane. L'impossessamento, la manipolazione di parole come verità e libertà (e dei relativi concetti) costituisce il caso più visibile, e probabilmente più grave, di questa tendenza.

Gli usi abusivi, o anche solo superficiali e sciatti, svuotano di significato le nostre parole e le rendono inidonee alla loro funzione: dare senso al reale attraverso la ricostruzione del passato, l'interpretazione del presente e soprattutto l'immaginazione del futuro.

Se le nostre parole non funzionano - per cattivo uso o per sabotaggi più o meno deliberati - è compito di una autentica cultura civile ripararle, come si riparano meccanismi complessi e ingegnosi: smontandole, capendo quello che non va e poi rimontandole con cura. Pronte per essere usate di nuovo. In modo nuovo, come congegni delicati, precisi e potenti. Capaci di cambiare il mondo.

Proviamo allora a esercitarci in questo compito di manutenzione con una parola importante e più di altre soggetta allo svuotamento (e alla distorsione) di significato di cui dicevamo. Proviamo a restituire senso alla parola vergogna.
Nell'accezione che qui ci interessa la vergogna corrisponde al sentimento di colpa o di mortificazione che si prova per un atto o un comportamento sentiti come disonesti, sconvenienti, indecenti, riprovevoli.

E' una parola da ultimo molto utilizzata al negativo: per escludere, sempre e comunque, di avere alcuna ragione di vergogna o per intimare agli avversari - di regola con linguaggio e toni violenti - di vergognarsi. La forma verbale "vergognatevi" è oggi spesso utilizzata nei confronti di giornalisti che fanno il loro lavoro raccogliendo notizie, formulando domande e informando il pubblico.

Sembra dunque che vergognoso sia vergognarsi. La vergogna e la capacità di provarla appaiono qualcosa da allontanare da sé, una sorta di ripugnante patologia dalla quale tenersi il più possibile lontani.

Sulla questione Blaise Pascal la pensava diversamente, attribuendo alla capacità di provare vergogna una funzione importante nell'equilibrio umano. Nei Pensieri leggiamo infatti che "non c'è vergogna se non nel non averne".

In tale prospettiva è interessante soffermarsi sull'elencazione, che possiamo trovare in qualsiasi dizionario, dei contrari della parola. Troviamo parole come cinismo, impudenza, protervia, sfacciataggine, sfrontatezza, sguaiataggine, spudoratezza, svergognatezza.

Volendo trarre una prima conclusione, si potrebbe dunque dire che il non provare mai vergogna, cioè il non esserne capaci, è patologia caratteriale tipica di soggetti cinici, protervi, sfacciati, spudorati. Al contrario, la capacità di provare vergogna costituisce un fondamentale meccanismo di sicurezza morale, allo stesso modo in cui il dolore fisiologico è un meccanismo che mira a garantire la salute fisica. Il dolore fisiologico è un sintomo che serve a segnalare l'esistenza di una patologia in modo che sia possibile contrastarla con le opportune terapie. La ritardata o mancata percezione del dolore fisiologico è molto pericolosa e implica l'elevato rischio di accorgersi troppo tardi di gravi malattie del corpo.

Così come il dolore, la vergogna è un sintomo, e chi non è capace di provarla - siano singoli o collettività - rischia di scoprire troppo tardi di avere contratto una grave malattia della civilizzazione.

Qualsiasi professionista della salute mentale potrebbe dirci che le esperienze vergognose, quando vengono accettate, accrescono la consapevolezza e la capacità di miglioramento, e in definitiva costituiscono fattori di crescita. Quando invece esse vengono negate o rimosse, provocano lo sviluppo di meccanismi difensivi che isolano progressivamente dall'esterno, inducono a respingere ogni elemento dissonante rispetto alla propria patologica visione del mondo, e così attenuano il principio di realtà fino ad abolirlo del tutto.

Come ha osservato una studiosa di questi temi - Francesca Rigotti - l'azione del vergognarsi è solo intransitiva e non può mai essere applicata a un altro. Io posso umiliare qualcuno ma non posso vergognare nessuno. Sono io che mi vergogno, in conseguenza di una mia azione che avverto come riprovevole. Pertanto la capacità di provare vergogna ha fondamentalmente a che fare con il principio di responsabilità e dunque con la questione cruciale della dignità.

Diversi autori si sono occupati alla vergogna. La parola è presente in alcuni bellissimi passi di Dante e ricorre circa trecentocinquanta volte in Shakespeare. Ma è davvero interessante registrare cosa dice della vergogna Aristotele nell'Etica Nicomachea. "La vergogna non si confà a ogni età, ma alla giovinezza. Noi infatti pensiamo che i giovani devono essere pudichi per il fatto che, vivendo sotto l'influsso della passione, sbagliano, e lodiamo quelli tra i giovani che sono pudichi, ma nessuno loderebbe un vecchio perché è incline al pudore, giacché pensiamo che egli non deve compiere nessuna delle cose per le quali si ha da vergognarsi".

Continua...

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