domenica 8 marzo 2009

“Emergenza - stupri e ronde: la radice maschilista è la stessa”

di Annamaria Rivera
(apparso stamattina su: “Liberazione”- La questione maschile, p.II)
A dubitare fin dall’inizio della narrazione pubblica dello “stupro della Caffarella” siamo stati in pochi. Con l’eccezione di qualcuno - EveryOne, per esempio, ha avuto il coraggio di smentirla in un dossier dettagliato - quasi tutti la hanno data per scontata, perfino quotidiani decisamente di sinistra: a nessun giornalista è venuto in mente di fare non dico una controinchiesta (non siamo mica negli anni ’70!) ma almeno una vera, onesta indagine giornalistica. Al massimo si è cercato di correggere l’amalgama indecente romeni-rom-stupratori dando la parola agli “zingari buoni”, che avrebbero permesso la cattura di uno dei due accusati. Correzione che non ha migliorato la versione dominante, se mai le ha aggiunto quel tocco di paternalismo peloso che le mancava.
Non parliamo poi del malcostume d’ignorare il principio della presunzione d’innocenza, specie quando si tratta degli “altri”: sembra che anche a sinistra si cominci a pensare che rispettarlo è un lusso che non possiamo più permetterci. Il che la dice lunga non solo sullo scadimento del mestiere ma anche sull’egemonia culturale della destra.
L’”emergenza-stupri”, lo sappiamo bene, è solo l’avatar più recente del vizio di orchestrare campagne propagandistiche di stampo forcaiolo e razzista, in cui a variare sono solo i capri espiatori: figure “aliene” che mutano secondo criteri statistici –la componente immigrata più numerosa- o biecamente strumentali -la categoria di “altri” più antipatica e/o più utile a spacciare l’urgenza di misure liberticide e persecutorie. Non è un fenomeno nuovo: la tendenza a ridurre l’attualità politica ai fatti di cronaca nera -selezionati, gerarchizzati, drammatizzati dai mass media secondo l’aria politica del momento- si manifesta dacché esiste uno spazio pubblico che esige qualche coinvolgimento dei cittadini, spesso in realtà ridotti a semplici elettori. E non è nuovo, anzi è antico come i linciaggi il tema del “diverso” che insidia le nostre donne. Vetusto è anche quello che attribuisce agli “altri” l’attitudine naturale ad opprimere, schiavizzare, far violenza alle donne: per limitarci all’Italia, un tempo era prerogativa dei terroni, più di recente degli “islamici”. Non è nuovissima neppure la moda di prendere a pretesto crimini contro le donne, purché commessi da estranei, per compiacere o sollecitare gli umori collettivi più malsani: il “consiglio di guerra” convocato dal governo di centrosinistra dopo l’omicidio Reggiani ha fatto scuola. Più stravagante è che ad allarmarsi e starnazzare per l’”emergenza-stupri” sia chi ha reintrodotto nello spazio pubblico il celodurismo, rinverdendo così lo stile mussoliniano. Si sa, parlando dell’Altro si parla di se stessi. Che a gridare contro lo stupratore alieno sia la Lega nord, il partito che ha reso linguaggio politico l’esibizione genitale -così prossima alle fantasie e agli atti di stupro- rivela quali siano le pulsioni che si agitano nel ventre maschilista, razzista e fascistoide del nostro infelice paese. E’ da quel ventre misogino che nasce l’idea delle ronde, apparentata con la violenza sessuale dalla medesima attitudine proprietaria nei confronti dei corpi femminili. Del resto, la complicità del mondo maschile maggioritario con gli stupratori, quelli veri, è mostrata dall’atteggiamento abituale allorché il violentatore è italiano: se ha consumato il suo crimine all’interno delle mura domestiche prevarrà l’indifferenza; se lo ha fatto in un luogo pubblico, si dirà che è stato colto da un raptus o che, povero ragazzo, era sotto l’effetto di droga o alcol. In realtà, lo stupro è endemico ai più vari sistemi sociali che valorizzano la cultura del potere, della sopraffazione, della violenza. Il più delle volte avviene nel chiuso delle relazioni di prossimità: in Italia, come a livello mondiale, la maggior parte delle violenze sessuali è esercitata da parte di persone che conoscono la vittima. E’ trasversale alle classi, agli ambienti sociali, alle culture, alle appartenenze religiose, alle nazionalità, ma comune a un solo genere: quello maschile. Per decenni il movimento femminista italiano ha cercato di richiamare l’attenzione dei poteri pubblici sullo scandalo di questa violenza endemica e del sistema che la favorisce: un sistema di relazioni di potere talmente squilibrati in sfavore delle donne che anno dopo anno, come abbiamo riferito più volte, i rapporti del World Economic Forum collocano l’Italia sempre più in basso nella scala della parità uomo-donna, al di sotto di alcuni paesi del terzo mondo. Mentre le donne conquistano margini crescenti di libertà e autonomia, poco mutano i meccanismi della discriminazione di fatto. Anzi, è proprio la conquista di quei margini, in assenza di una rappresentazione pubblica condivisa dell’eguale diritto, dignità, valore del genere femminile, che spinge una parte del mondo maschile, traversato dalla crisi della virilità tradizionale, verso la frustrazione, il rancore, la paura, il desiderio di punire le donne. C’è un ritorno –lo avete notato?- del vecchio vizio di umiliare l’autorevolezza femminile. Come negli anni prima del femminismo, accade che dei maschi provino a importi il silenzio o a screditare la tua parola come illegittima o aggressiva. In fondo, sessismo e razzismo hanno la stessa matrice: il desiderio di annullare l’altro-da-sé che non si sa riconoscere come parte del proprio sé.

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