domenica 19 aprile 2009

Sinistra radicale e welfare locale

Leonardo Angelini e Deliana Bertani (*) (inviato al Manifesto)
Nell'afasica discussione che accompagna il processo di disgregazione e riaggregazione della sinistra radicale italiana, in vista delle elezioni di giugno, manca un qualsiasi cenno al welfare locale. In questo modo un argomento che dovrebbe essere centrale nel rinnovo delle amministrazioni locali sostanzialmente non viene neanche affrontato. Eppure in questi anni la sinistra radicale in buona parte d’Italia ha partecipato al governo degli enti locali, e quindi al governo del welfare locale insieme agli altri partiti del centrosinistra, e ha svolto una politica di contrasto più o meno efficace laddove il governo locale è stato nelle mani del centrodestra.

Viene da chiedersi: come mai questa amnesia in un momento di grave crisi economica in cui, dopo la vittoria del centrodestra a livello centrale, il welfare locale è destinato a rimanere, purtroppo per anni, uno dei pochi ammortizzatori sociali nelle mani del centrosinistra in tutti quei luoghi in cui vincerà le amministrative? Molte sono le ragioni di questa inverosimile dimenticanza. Fra le più immediatamente rilevabili, come abbiamo letto anche sul Manifesto: la chiusura autistica della sinistra radicale dopo la sconfitta dell’anno scorso; il suo distacco dai luoghi reali di vita e di lavoro; il formarsi al proprio interno di una “castetta” che mira solo ad autoriprodursi, etc. - A nostro avviso però vi è una causa più profonda, che non è riconducibile a ciò che è accaduto appena ieri, ma che affonda le sue radici nella storica assenza di una seria riflessione a sinistra sul significato del welfare locale e, più in generale, del decentramento e del governo locale del territorio. La qual cosa è tanto più grave in quanto è proprio su questi piani che le altre forze del centrosinistra hanno costruito, a partire dalla crisi delle prima repubblica, i muri portanti delle loro alleanza a livello locale.
La sinistra radicale, cioè, a nostro avviso, non ha compreso che il blocco sociale che si è andato formando intorno a Prodi e alle forze moderate del centrosinistra trova uno dei suoi elementi di coesione in un’ampia azione volta a ridisegnare il welfare locale in base ai processi di aziendalizzazione, di tickettazione dei servizi, di riallocazione di fette sempre più consistenti degli stessi nel privato, di marginalizzazione e di svuotamento dei servizi pubblici. Ciò ha prodotto la scomparsa di quello che in molte zone in cui governava la sinistra veniva chiamato welfare dei servizi, in contrapposizione al democristiano welfare dei sussidi; la scomparsa, cioè, di un modello di welfare universalistico e gratuito che ha funzionato per oltre vent’anni come un efficacissimo ammortizzatore sociale, in grado di contribuire non poco allo sviluppo delle regioni rosse in base alla erogazione di un salario indiretto che giungeva ai meno abbienti, a sostegno del loro tenore di vita.
Sicuramente l’ancoraggio all’euro ad opera del centrosinistra ha permesso di uscire dalla voragine in cui era finita l’Italia da bere del periodo craxiano, ma lo ha fatto con una feroce politica di attacco ai diritti ed al tenore di vita dei lavoratori che ha aperto il varco alle ancora più feroci operazioni che sul piano centrale ha poi fatto il centrodestra. Ma non considerare che, a fianco a questa partita, c’è anche quella che si va giocando a livello locale, a nostro avviso è un segno di miopia che impedisce di mettere a fuoco alcuni aspetti importanti del processo: la perdita delle funzioni redistributive del welfare, la formazione del consenso e l’agglomerazione delle nuove classi dirigenti a livello locale.
Sul piano della perdita delle funzioni redistributive va detto che ormai i processi di aziendalizzazione e di esternalizzazione hanno finito con il mettere in piedi ed implementare un meccanismo perverso che toglie ai poveri ed ai lavoratori dipendenti, spesso costretti a pagare più volte per le stesse prestazioni, e favorisce i ricchi e gli evasori che possono fruire dei vantaggi del welfare sottraendosi, in maniera più o meno vistosa, al contributo per l'accantonamento delle risorse occorrente per tenerlo in piedi. Per non parlare dei processi di dismissione che scaricano sulle famiglie e sulle donne il peso della cura.
Intorno all’aziendalizzazione ed alla riallocazione al privato delle risorse per il welfare, poi, si sta giocando una partita costosissima, importantissima e spesso sporchissima (come, vox clamans in deserto, denuncia Report), che vede ogni gruppo di potere locale scomporsi e ricomporsi per espandere il proprio ambito di influenza per assumere, attraverso quella strada, il controllo delle città. L’elemento centrale che favorisce l’espansione a dismisura di questi fenomeni è rappresentato dal sempre più ampio e discrezionale potere assegnato, in base a leggi che anche il centrosinistra ha voluto, ai sindaci ed ai governatori sul piano delle dismissioni, delle assunzioni, degli appalti, eccetera. A partire da questa base si determinano due processi paralleli che si alimentano l’un con l’altro e che sono alla base del nuovo potere locale: la trasformazione del welfare in un affare e la formazione di clientele all’interno delle quali le varie componenti locali del PD e del centrodestra (per non parlare dei camaleonti di Comunione & Liberazione) pescano la loro nuova base e i loro “quadri”. Si tratta in ultima istanza di una fucina di clientele pigre e asservite che, attraverso lo strumento della precarizzazione del lavoro, si riverbera sui giovani spingendo i più deboli e più ricattabili fra essi all'asservimento all'interno delle clientele, e i più fieri ed autonomi all’allontanamento dalla politica, sempre più vissuta come un luogo in cui prevalgono loschi interessi di bottega. I più attivi in quest'opera di ridefinizione e corruzione del welfare sono gli ex-democristiani che, per di più, tendono ad imporre nei settori sensibili (consultori, ospedali, asili, scuole dell'infanzia, etc.), a fianco e dentro le trasformazioni cui accennavamo prima, le loro logiche clericali.
Torniamo a chiederci ed a chiedere ai compagni della sinistra radicale, che pure in molte amministrazioni sono in maggioranza e quindi al corrente di quanto detto qui sopra: che cosa avete fatto negli anni scorsi per contrastare questo fenomeno? perché non usare la forza residua di cui disponiamo sul piano del consenso per proporre in maniera trasparente al resto del centro sinistra alcune proposte, dopo averle individuate e discusse con i nostri sindacalisti, con i nostri economisti, con i nostri sociologi, ed innanzitutto con la nostra base?

(*)psicologi nei servizi pubblici, Reggio Emilia

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