giovedì 25 giugno 2009

I giovani in panchina 2

di ETTORE LIVINI, da Repubblica on line del 23.6.09
Le nostre università sfornano ogni anno laureati e ricercatori a 18 carati, contesi dalle migliori facoltà europeee mondiali. Il Campionato del Manchester United è stato deciso dai gol di un diciassettene romano, Federico Macheda, cresciuto negli allievi della Lazio. I manager made in Italy - da Sergio Marchionne al giovane Andrea Guerra di Luxottica- tengono alto la bandiera dell' imprenditoria tricolore in giro per il globo, mentre le banche d' affari anglosassoni si contendono analisti e investment banker del Belpaese. Eppure l' Italia, purtroppo, nonè un paese per giovani.


I rodatissimi (forse fin troppo) azzurri di Marcello Lippi - in clamorosa controtendenza anagrafica e di risultati rispetto alla Spagna campione d' Europa (età media 26 anni) e al Barcellona di Lionel Messi (22 anni domani) e del debuttante Pep Guardiola - sono solo la punta dell' iceberg. La panchina del Belpaese è lunghissima. E accanto ai vari Balotelli&C. - in attesa di un' occasione che sembra non arrivare mai- siedono centinaia di manager, ricercatori universitari, stilisti e politici under 40. Rei di essere nati in una nazione dove il merito conta mille volte meno di una raccomandazione, dove «un' elite sui generis - per dirla con il sociologo Nadio Delai - tutelai propri dirittia scapito delle nuove generazioni» e dove i "giovani talenti" non si formano più nelle aule universitarie ma - a colpi di televoto - a X-Factor e Amici. Certo non sempre giovane è bello. E l' esperienza è un valore importante. Ma le cifre anagrafiche fanno lo stesso impressione. La prima superpotenza al mondo - in un momento certo non facile - ha affidato il suo destino a un 47enne come Barack Obama. Che a sua volta ha consegnato le redini dell' economia Usa (in piena crisi) al coetaneo Timothy Geithner. Gente così in Italia giocherebbe nell' Under 21 parlamentare. Il 49,6% dei nostri leader politici ha più di 71anni, contro una media europea del 30%. Il discorso non cambia allargando l' obiettivo all' insieme della classe dirigente. Gli ultrasettantenni rappresentano oltre il 70% dei protagonisti della nostra economia, della cultura e dell' università, contro il 28% della Spagna e il 31% della Gran Bretagna. «In Italia (un po' come nella Nazionale di calcio, nd r) pesa il concetto di famiglia - sostiene Luigi Guiso, professore di economia alla European University Institute di Firenze - nel senso di una cerchia chiusa dove l' appartenenza pesa più delle capacità. E questo è il fattore che frena di più il ricambio». Prendiamo l' economia. «Il nostro sistema fa tanto per tener vive le imprese in crisi ma si dimentica di sostenere quelle che hanno potenzialità di crescita» dice Marco Cantamessa, presidente di I3P, l' incubatore del Politecnico di Torino che aiuta i giovani a trasformare in realtà aziendali le loro intuizioni. Un tessuto imprenditoriale fatto per il 95% di imprese familiari non contribuisce certo a valorizzare i meriti, pescando talenti dalla panchina. Nel paese dei bamboccioni, i padri tendono a girare il timone della società di casa ai figli, spesso invecchiati nell' attesa. E quando avviene il passaggio di consegne («tardi perché in una nazione che si regge sulle "relazioni" un 70enne vale molto più di un 30enne», dice Cantamessa), la redditività - calcola Banca d' Italia - cala in media del 2,4%. Peccato. Perché quando una dinastia ha il coraggio di fare un passo indietroe di far scendere in campo un manager promettente senza badare a stato di famiglia e carta d' identità - basta pensare alla Fiat di Sergio Marchionne - le cose vanno spesso molto meglio. Andrea Guerra, arrivato a poco più di 40 anni al vertice di Luxottica, ha fatto del gruppo dei Del Vecchio il numero uno al mondo degli occhiali. Bob Kunxe Concewitz, 42enne ad della Campari, ha trasformato una vecchia etichetta monomarca a controllo familiare nel sesto gruppo d' alcolici globale. «Le grandi aziende italiane, soprattutto quelle pubbliche, tendono ad affidarsi ai soliti noti anche quando nella loro vita professionale hanno fatto poco e male - dice Alessandro Cattani, ad della Esprinet - . I soci della mia azienda hanno deciso di puntare sui giovani e mi hanno affidato l' azienda quando avevo 36 anni». La società informatica così, non solo è sopravvissuta alla bolla internet, ma oggi - approdataa Piazza Affari- vale 300 milioni ed è il 60esimo gruppo italiano per fatturato. «Non bisogna essere pessimisti- dice Cattani - Di manager bravi che si costruiscono con le loro forze una buona carriera ce ne sono tanti. Il difficile è arrivare ai vertici reali del potere». In politica è lo stesso. Il ricambio è ingessato dalla cooptazione e dall' affiliazione (in questi giorni ne stiamo scoprendo nuovi e originalissimi canali). Certo, ogni tanto spuntano dal nulla una Debora Serracchiani o un Matteo Renzi che a suon di preferenze, senza tv e apparati alle spalle, scuotono i delicati equilibri della gerontocrazia dei palazzi romani. E la Lega, grazie a una nuova ondata di amministratori locali poco più che 30enni, è (forse non a caso) uno dei partiti di maggior successo sul territorio. Ma - almeno per ora - sono fuochi di paglia. Il sistema elettorale è una sorta di Gerovital che garantisce lunga vita all' estabilishment. Nelle ultime elezioni quasi il 75% dei nomi in listaè stato ricandidato. E secondo uno studio della Luiss il 33% dei trombati al voto è riuscito a sistemarsi riciclandosi su qualche strapuntino pubblico, nei cda delle municipalizzate o in enti locali. Le poltrone, insomma, se le dividono in pochi. Mentrei vari Balotelli italiani devono accontentarsi di sedere in panchina. Con un paradosso: il 96,7% di quest' anziana e auto-protettiva classe dirigente italiana - ha calcolato la Luiss - è convinto che «una società più meritocratica farebbe migliorare il paese». Belle parole, che però non reggono alla prova dei fatti. Lo stesso campione con i capelli bianchi è convinto (all' 84,7%) che qui da noi «le raccomandazioni contano di più delle capacità del singolo». Parlano, probabilmente, per esperienza. Non fosse così, in effetti, ben difficilmente la classe tirannosaura del Belpaese sarebbe riusciti a conservare il suo potere (o un posto nella squadra di Marcello Lippi) fino ad oggi. - ETTORE LIVINI


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