martedì 23 giugno 2009

La società dello spettacolo porno

di Annamaria Rivera, apparso su: “Liberazione”, 22 giugno 2009, p. 15

“Quando ci riesco faccio la ragazza immagine. Sono stata billionerina per tre anni. Ricordo che Fede mi promise di fare la meteorina. Ci tengo però a dire che non sono una escort”. Così risponde, in un’intervista, una delle “vergini” orgogliose di offrirsi in sacrificio al Drago: lo fa con freddo understatement e banale intonazione piccolo-borghese, come se stesse parlando di un lavoro da commessa o da impiegata. Come il suo capo e “utilizzatore finale”, col quale s’identifica –“io sono berlusconiana”- la signorina sarà una dei tanti italiani che deplorano il “degrado” di periferie abitate da immigrati, lanciano strali contro le prostitute di strada, soprattutto straniere, s’indignano per la “piaga” degli stranieri “clandestini, devianti, delinquenti e stupratori”.


Quando leggo frasi come quella citata, mi prende lo sgomento: che vorranno dire “ragazza-immagine”, “billionerina” “meteorina”, “escort”? Confesso che non lo so, anche se vedo che adoperano questo lessico perfino ottime firme di giornali di sinistra. Solo facendo ricorso all’intuito posso arguirne il senso. Immagino che la mia ignoranza dipenda dal fatto che più di un decennio fa decisi di spegnere il televisore per sempre. Nel frattempo la società dello spettacolo è dilagata -con le sue veline, billionerine, meteorine, escort- e ha stravolto la politica, ha mutato nel profondo la mentalità e l’antropologia del paese, è arrivata fino a imporre la propria neolingua. Tutti i mezzi d’informazione danno per scontato, come se stessero parlando in italiano, che il gergo della mercificazione pornografica dei corpi femminili sia neutro e comprensibile a tutti. E’ un processo parallelo a quello che ha banalizzato il lessico razzista: “extracomunitari”, “clandestini”, “nomadi”, “sicurezza”, “buonismo” (in fondo anche “guerra fra poveri”) ormai hanno perso le virgolette perfino quando usati a sinistra. Si sa, se i processi sociali si fanno lingua, vuol dire che si sono consolidati irreversibilmente. Se tutti sanno che escort sta per “prostituta che non si vende per strada” (se ho capito bene), mentre per me fino a ieri era solo una parola inglese che significa “scorta”, vuol dire che sono io la marginale. Da marginale –moralista?- vedo l’abisso nel quale è precipitato il paese, trascinandosi dietro quasi tutti. Fa impressione constatare quanto anche a sinistra si idoleggino chiunque e qualunque cosa abbiano qualche notorietà o risonanza televisive, fossero pure d’infimo rango. Al punto da dividere il mondo, irrevocabilmente, in chi fa comparsate televisive e chi no, dunque in chi merita attenzione e rispetto e chi no, fosse pure il più raffinato degli intellettuali o la più profonda delle studiose.
I poteri, soprattutto quelli dal fragile spessore democratico, spesso sono stati coinvolti in corruzione morale e scandali. Ma mai come oggi in Italia c’è stata una tale complicità della società, dell’opinione pubblica, della gente comune, di una parte rilevante delle donne. Anzi, c’è qualcosa di più della complicità oggettiva, c’è immedesimazione e sintonia sentimentale con le imprese e lo squallore del mediocre ometto sporcaccione da anni ’50, al quale denaro e potere permettono ciò che a noi è negato. E’ come se una buona metà del paese spiasse compiaciuta dal buco della serratura, dicendosi: almeno lui può permettersi di farlo.
Ignara o indifferente, quella metà, di fronte ai rischi che corre il sistema democratico: che democrazia è quella in cui le liste elettorali si fanno sfogliando i “book fotografici” (si dice così?) di ragazze-immagine e premiando quelle che hanno compiaciuto le voglie del capo? Per quanto ripugnante, questo costume non è che la forma estrema della tendenza, presente a destra e un po’ anche a sinistra, a cooptare nelle cariche di partito e nelle candidature nomi selezionati secondo criteri che, soprattutto per le donne, premiano la mediocrità, l’arrivismo, la condiscendenza, la fedeltà ai capi. D’altronde (come scrissi tre anni fa a commento di un bell’articolo di Lea Melandri), il narcisismo maschile -che attraversa anche la sinistra “radicale” e che ha contribuito alla sua crisi quasi mortale- si alimenta e si riproduce grazie alle tante signore o signorine Smith, ansiose di condividere il potere maschile, di raccoglierne le briciole o almeno d’essere accolte nei salotti buoni.
Tutto questo dovrebbe indurci a riflettere sull’ambivalenza di certe rivendicazioni, in assenza di un movimento di critica e di lotta che le indirizzi nella direzione giusta: le quote rosa possono diventare –sono diventate- l’anello di un’abietta catena di corruzione; la difesa sacrosanta dei diritti delle prostitute, se non si coniuga con la critica severa della mercificazione sistemica dei corpi femminili, può contribuire a banalizzare quest’ultima. La società dello spettacolo è capace di ingoiare ogni cosa che sia rigurgitabile sotto forma di immagine, quasi sempre pornografica.
L’ho scritto più volte: grazie al suo quasi-monopolio del potere delle immagini, dei simboli, del linguaggio, il berlusconismo ha saputo interpretare, dar voce, far emergere una delle tendenze che connotano profondamente la storia nazionale, il suo immaginario, il suo sentire e agire collettivi: un mélange d’individualismo, cinismo, debolezza del senso civico, assenza di rigore etico e intellettuale. E’ per questo che non potrà mai neppure scalfirlo una sinistra che non sia capace di riflettere criticamente sulla storia nazionale, di abbandonare le formule convenzionali e consolatorie per analizzare, spietatamente e nel profondo, i mutamenti sociali e culturali che hanno investito la società italiana.

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