sabato 29 agosto 2009

Dove sono le donne?

di Clelia Mori

Dove sono le donne? Si chiede Nadia Urbinati su L’Unità e Lidia Ravera il giorno dopo parla di “rivoluzione interrotta” delle donne.
Lo chiedono e lo affermano intervenendo sulla disastrosa situazione del pubblico della politica italiana deformata dal tutto privato, affari e sesso, del suo presidente del governo e sul silenzio quasi assoluto dell’opposizione, che scambia per moralistico, per non chiedersi altro, parlare di sessualità maschile e malattia e potere. Preferendo invece concentrarsi sul suo prossimo segretario piuttosto che cercare di essere anche un’alternativa di governo che sa mettere i piedi nel piatto dell’eros maschile e parlarne prima che distrugga del tutto il paese. Qualcun’ altr* ha anche invocato una presenza femminista ritenuta invisibile.


Condivido molte motivazioni di Urbinati e Ravera, ma non riesco a sentirmi in colpa perché non ho ancora pensato di andare in piazza come donna e non mi sembra neppure che la rivoluzione femminile sia così interrotta. Soprattutto quando i ragionamenti sulle donne le mettono indistintamente tutte insieme, in un unico fascio e non si fa un po’di cernita tra donne parlamentari di centro sinistra e centrodestra e le femministe e le donne che hanno cercato un posto al sole nel mondo degli uomini –portandovi dentro così piano la loro differenza, che i politici non si sono sentiti assolutamente parzializzati- e quelle che vivono una vita qualunque come ognuna di noi e le veline e le loro famiglie… Sembriamo improvvisamente diventati un paese di tutte veline o tutte escort a qualsiasi età. Notare che abito in Emilia, ma non conosco neppure una velina, nonostante ce ne siano così tante a leggere la stampa e a guardare la TV…
Ma lo sconforto è tale che ragioniamo quasi come vogliono farci ragionare, guardiamo il dito e non la luna. E così passa che siamo tutti* uguali, un potere vale l’altro anche se è patriarcale. Rassicurando in un colpo solo maschilisti di governo e di parrocchia e anche quegli uomini dell’opposizione che “non amano” le loro donne…

Mi rendo conto che invocare le femministe contiene anche la denuncia di un bisogno di parola che si ritiene servirebbe, così come ci è servita in tutti questi anni per andare tranquille per il mondo senza troppo pensare. Tanto c’erano loro che continuavano a farlo e noi potevamo badare alle nostre cose. Ma ho la sensazione che cogliamo anche l’occasione per pareggiare il conto con queste sessantottine che dicono di non aver mai mollato e poi quando è ora non si vedono. O forse non si vogliono ben vedere. Rimane comunque utile qualcuno da invocare che al momento del bisogno non c’è a toglierci le castagne dal fuoco, magari criticandole. Mi sembra un poco da capro espiatorio la faccenda. Anche se io le trovo le parole delle femministe, quando voglio, ma i giornali fanno più fatica e non riesco a capire perché, se ci riesco io.
Comunque, pur camminando sul crinale tra femminismo e femminile e politica, in piazza ci tornerei anche, ma non riesco bene a capire per far cosa. L’ultima volta che ci sono andata, era nel 2007 contro la violenza maschile alle donne. Subito dopo è stato tutto un attacco, persino delle giornaliste donne più accreditate, alle organizzatrici del corteo e sul loro nostro concetto di democrazia perché le politiche volevano approfittarsi del successo della manifestazione e le organizzatrici non l’hanno permesso…Non è servito a nulla allora, perché i nostri politici hanno letto solo la querelle e di donne ne muore ancora una ogni tre giorni, a cosa servirebbe ora con questa opposizione? Non sarebbe meglio chiarire bene e invece che prendersela con tutte, chiedere alle politiche del centro sinistra conto del loro quasi silenzio, stando nei luoghi di potere?

E poi, credo si sia sottovalutata la questione che sono state le donne - rappresentando tutto l’immaginario femminile del maschile con in ordine : una moglie, una escort, una figlia - a far esplodere quello che gli uomini della politica tutta e della religione non riuscivano o volevano far emergere e non credo che se la rivoluzione femminile - quella più riuscita del ’68 - fosse davvero interrotta, come dice Lidia Ravera, oggi soprattutto questo tipo di donne, che Nadia Urbinati chiama private, sarebbero riuscite a far emergere tanta “malattia” individuale e di potere, soprattutto maschile.
Basta ascoltare il silenzio, che non è di tutte, degli uomini all’opposizione -gli strepiti difensivi del centrodestra sono da copione e dicono solo del desiderio di potere a tutti i costi- per capire chi è che ha un problema di gestione della propria sessualità, così ben evidenziata dal capo del governo e della nostra democrazia.“Malato”, l’ha definito la moglie e nonostante sia stato dimostrato quanto sia vero, da registrazioni varie, quasi nessuno ci torna su. Perché?
Perché non chiediamo conto come donne, invece che alle donne e alle femministe, agli uomini come suggeriva Chiara Saraceno?
A quasi tutti gli uomini, perché in giro alcuni ci sono che ripensano la loro differenza, ma come le femministe, non vengono interpellati dai midia. Si preferisce percorrere la strada che vuole il centro destra e perpetrare una mai risolta questione sessuale del maschile.
Ma non la possiamo percorrere anche noi donne, soprattutto incolpandoci di non andare in piazza e sentendoci tutte veline e magari non chiedendo a chi è direttamente coinvolto: gli uomini di segnare la propria differenza dal premier e da questa idea fallimentare di maschio.

Non è un problema nostro questo degrado democratico in cui viviamo.
Noi viviamo gli effetti collaterali di un maschilismo irrisolto che deve portare gli uomini non malati ad andare loro e per primi in piazza a prendere le distanze dal loro nostro capo del governo, massimo rappresentante pubblico del loro sesso.
Sono loro che dovrebbero indicare ai loro figli l’esempio della loro differenza da questo uomo, per fare in modo che in nessuna maniera possano essere influenzati da un tale inutile modello .
Chiediamo quindi, e io lo faccio nel mio piccolo, a tutti quelli che pensano di non assomigliare a S.B. di dircelo pubblicamente.
Solo allora avrà un senso per me tornare in piazza, magari al loro fianco, per ridefinire uno spazio pubblico che ci appartiene: la democrazia.
O no?

Clelia Mori

19.8.09

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