domenica 23 agosto 2009

Il festino democratico

di Norma Rangeri, da Il Manifesto on line

Lino Paganelli, militante cinquantenne di Lamporecchio Valdinievole, con una battuta sui festini del premier rischia di dare una linea politica antiberlusconiana alla festa nazionale del Pd, altrimenti destinata a risolversi in palcoscenico della battaglia congressuale tra i candidati alla segreteria. Per aver sinteticamente spiegato perché Silvio Berlusconi non è stato invitato alla kermesse di Genova («questa è una festa non un festino»), l'organizzatore piddino ha scatenato la sdegnata protesta dei maggiorenti del Pdl e il ritiro della partecipazione di alcuni ministri dai dibattiti genovesi. Così la ministra Carfagna, come anche i colleghi Matteoli, Frattini e Meloni, non illustrerà le sue idee sulla sicurezza (tema della tavola rotonda che la vedeva protagonista) alla platea dei democratici. Che la sua presenza alla festa fosse un bene per le sorti della democrazia italiana sarebbe stato, questo sì, tutto da discutere.

Ma tant'è. Nonostante i festini del capo del governo siano, purtroppo, un fatto da mesi sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo (finiti in prima serata anche nello show satirico di Bbc2), la parolaccia in Italia non va pronunciata nel confronto politico tra maggioranza e opposizione. Naturalmente dire che non si invita il presidente del consiglio a una festa perché è un signore che organizza festini con le escort, non è un complimento. Ma reagire sdegnosamente, fino a cancellare la presenza dei ministri dal cartellone dei dibattiti, è un utile boomerang che trasforma una battuta in questione politica.
L'episodio, semplicemente inimmaginabile nel contesto politico di qualunque altro paese, in realtà dimostra come le conseguenze della spazzatura berlusconiana si frappongano ormai in modo insopprimibile, e persino incontrollabile, nella dialettica politica italiana. Con un rovesciamento della realtà, le vibranti dichiarazioni della maggioranza di centrodestra accusano l'opposizione di volgarità, di maleducazione, di mancanza di rispetto delle istituzioni, quando, viceversa, lo stato della politica italiana è ridotto, proprio dal capo del governo, all'indecoroso spettacolo del potere del boudoir.
E, d'altra parte, l'episodio ci racconta di un partito democratico che sul tema cruciale del sultanato non aveva alcuna intenzione di disturbare le riflessioni e gli incontri organizzati nel raduno della sua festa nazionale. Immigrazione, lavoro, salute, criminalità economia, giustizia di tutto si discuterà nell'affollata agenda, ma non di sesso e potere, non di donne e nuova politica, argomenti che avrebbero rischiato di trovare il silenzio imbarazzante di una sinistra afona. Né può confortare il diplomatico palleggio («fatevi una risata e venite a discutere») della giovane Serracchiani, idolo del rinnovamento. Se lo poteva risparmiare: c'è poco da ridere. Tutto sommato, le parole del chirurgo Marino («se non vengono ce ne freghiamo»), schiacciano la palla e chiudono il tormentone con un colpo secco.


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