lunedì 8 febbraio 2010

Con Flavio e Cinzia, torniamo nel marasma maschile.


di Clelia Mori
Cinzia e Flavio.
E’ l’ennesima storia di sesso e potere raccontata da una donna, rifiutata da un uomo del centrosinistra, nel sexigate della politica italiana, scoppiato dall’estate scorsa. Si sa. E chissà quante ce ne sono, e magari le conosciamo anche, con la storia d’amore e carriera di Cinzia, a destra e a sinistra. La punta dell’iceberg berlusconiana, era una sintesi personale e d’antan, di tutte le esasperazioni tra sesso è potere di cui sono capaci i politici italiani con le loro donne o i loro amori, ognuno nel loro grande-piccolo. Ma per ora stiamo a Cinzia e Flavio. Anche perché per molti maschi non c’è scandalo nel loro gioco tra sesso e potere, ma solo esibizione di forza e se scandalo c’è viene delegata a parlarne una donna, come è accaduto, per fortuna nostra che così l’abbiamo saputo, quest’estate a Fare Futuro
Il massimo, invece, che il centro sinistra ammette passa dal gossip al “rovinare una vita per una manciata di spiccioli”..
Ma sì c’è della stanchezza. Va ammesso. Soprattutto tra donne! Si fa fatica a parlare ancora. E come dice Letizia Paolozzi su Donnealtri.it: quasi quasi divento moralista. E’come non aver voglia di ripetere le stesse cose a furia di vedere le mastodontiche, generali orecchie da mercanti assunte per convenienza, non solo di partito e di potere, ma di sesso molto infelice, maschile. Per quello strano meccanismo che eccita gli insicuri politici italiani, rassicurati soltanto dal molto potere. Perdendosi comunque, confusi e inconsci dei loro desideri profondi, dentro ai clichè maschili che si sono fatti bastare. Anche se sono istruiti, anche se sono potenti. Ecco che allora, quando tocca dalla loro parte, tacciono. Tacevano anche quest’estate e ancora si dava la colpa alle donne che non parlavano. Non la si dava ai silenzi della politica, che poi è degli uomini e delle donne della politica, non essendo mai neutra o un’entità superiore, ma solo un’interpretazione deformata dalla visione machile. Si dava la responsabilità alle donne, mentre si taceva a destra come a sinistra, e, ora, è vero, tacciono anche le donne. E allora, anche se questa volta è più piccolo, aleggia ancora lo scandalo solo sui silenzi delle donne.
Ma i silenzi di ieri e di oggi, sono diversi. E anche quelli delle donne sono diversi tra loro e la pasta del loro silenzio è diversa da quelli degli uomini. Così come le parole delle donne sono diverse tra loro e sono comunque differenti, soprattutto in questi casi, quelle che usano le donne da quelle che usano gli uomini. Con una particolarità per quelle femminili: spesso molte donne usano parole e simbolico maschile, con una verniciata femminista, per stare dalla stessa parte degli uomini e accade a destra come a sinistra seppur con postazioni, stavo per dire sfumature, culturali opposte. Le donne lo fanno per  proteggersi individualmente assicurandosi una carriera, mentre gli uomini, tranne una “elitè” come quelli di Maschile Plurale, usano tutti lo stesso linguaggio sessuato di autodifesa.
E’ così che le donne, per non cambiare mai, come Il Gattopardo insegna, lasciano sole le altre donne, quelle non imitative che non verniciano i propri linguaggi emancipativi, paritari o conciliativi di esotica differenza, ma lo sono davvero differenti, e cercano la loro nostra differenza anche per tutte noi. Fino ad arrivare alla raffinatezza di incolparle di non parlare come nel dibattito estivo dell’Unità, con la giusta attuale distinzione di Ritanna Armeni che rivendica bisogno di parola in ogni caso partitico. Fino a pensare che non c’è nulla da dire sullo squallore –questa è la sensazione che mi è rimasta leggendo l’articolo di Miriam Mafai su Repubblica- femminile, tra sesso e potere maschile, perché le donne sono ancora e sempre vittime,  non essendo ancora nelle stanze dei bottoni. Dando addirittura addosso ad un uomo, Gad Lerner, che dal suo spazio pubblico, finalmente come maschio quasi isolato del quarto potere, si permette di dire che non ci sta alla pretesa che le donne non si ribellino se viene calpestata la loro dignità, dopo un amore o un uso del corpo finito.
Ma pare che la Donna come Vittima sia ancora la Sirena da usare quando si parla di donne e delle loro reazioni alle relazioni che vivono. Davvero un po’ di moralismo e un po’ di vittimismo, mi piacerebbe chiamarlo piagnisteo, può ancora portare le donne nella stanze dei bottoni? Meglio arrivarci portate dal vittimismo piuttosto che da un sano senso di sé, intendendo finita l’epoca del silenzio anche sulla dignità femminile calpestata, ma ritrovata?
Ma quanto male ancora siamo disposte a dover accettare per avere diritti e dignità a partire dalle donne? Siamo cristianamente sempre pronte a vedere, in misura maggiore, i difetti nei comportamenti femminili rispetto a quelli maschili mentre i loro, in qualche maniera, ci scandalizzano meno, anche se ne chiediamo le dimissioni. Quasi come le chiedessimo malvolentieri. Almeno sento dentro questa sensazione. Anche il nostro senso dello scandalo al femminile è diverso e non solo i silenzi, non solo le parole delle donne, che non sono tutte uguali neppure quando scandalizzano, perse, noi e loro quando non facciamo chiarezza, tra emancipazione parità e tutto il resto che inventiamo per stare nell’orbita maschile. Tendendo ad una colpevole massificazione che confonde il mondo delle donne e non aiuta quello maschile ad uscire dai marasmatici acquitrini in cui è infilato da sempre.
E non serve rallegrarsi se in Lazio vince comunque una donna scelta dagli uomini. E’ una simbologia spuntata se non si ha il coraggio di permettere la ribellione femminile pubblica al silenzio sulla propria dignità..
Miriam, per ribellarsi al silenzio bisogna non aver peccato

3.2.2010

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