giovedì 16 luglio 2009

Verità finte e bugie vere

di Edmondo Berselli, da Repubblica on line

Chiedere a Silvio Berlusconi di recarsi in Parlamento e riferire sulle vicende che lo coinvolgono sul piano privato e politico, morale e giudiziario, significa toccare il punto cruciale in cui per il premier verità e menzogna si incrociano. La verità è di una semplicità palmare e il capo del governo l' ha esposta in modo spettacolare al G8, chiedendoe ricevendo una copertura mediatica capillare. Per giorni le tv nazionali sono state invase dall' immagine del premier «statista», dell' «anfitrione» perfetto, dell' uomo stilisticamente a proprio agio con i leader mondiali.

Sorridente, psicologicamente sotto controllo, addirittura misurato negli atteggiamenti, Berlusconi è riuscito a nascondere, con un volteggio e un gioco di prestigio, l' altra parte, quella oscura, the dark side, che ne investe integralmente la personalità e il ruolo politico. Se la verità del capo del governo è chiara, ed è stata esposta con il riuscito show dell' Aquila, resta in gioco quest' altra parte, quella della menzogna. Una parte tutta da approfondire, che presenta implicazioni politiche, e più ancora istituzionali, di eccezionale rilevanza pubblica. Il fatto è questo: quasi travolto da una storiaccia di sesso privato, sullo sfondo di «torte», escort, notti brave, il capo del governo non ha voluto accorgersi che l' aspetto privato (e famigliare) della vicenda era diventato clamorosamente pubblico; che aveva coinvolto luoghi e sedi istituzionali; infine che aveva assunto una essenziale dimensione politica. Di fronte a questo intreccio di fattori, Berlusconi ha reagito alla sua maniera: vale a dire con una combinazione di bugie unite alla convinzione di poter manipolare la realtà a uso e consumo delle masse televisive. Prima la strategia del silenzio, fondata sull' idea che «se non se ne parla, il caso non esiste», poi il vittimismo sacrificale, la denuncia di piani eversivi contro l' Eletto, l' attacco premoderno alla stampa «nemica», gli inviti agli imprenditori a negare risorse pubblicitarie ai sabotatori e ai complottisti. I depistaggi di Berlusconi sono infiniti, così come sono innumerevoli quelli dei suoi collaboratori e avvocati,a cominciare dal deputato e avvocato Niccolò Ghedini, l' inventore non proprio fortunato dell' innocenza «a prescindere» del premier in quanto «mero utilizzatore finale» di servizi sessuali a pagamento. Tuttavia nessun depistaggio politico e mediatico può togliere di mezzo alcuni elementi di fatto. Cioè alcune verità che non sono quelle del premier. In primo luogo c' è il giudizio dell' establishment: per quanto cinico e corrivo, conformista e volutamente miope sia apparso l' atteggiamento delle élite italiane, sarebbe difficile sostenere che i maggiori gruppi di potere abbiano apprezzato la spregiudicatezza anche estetica dell' intrattenimento berlusconiano, e la rivendicazione di uno stile di vita in cui ogni eccezione alla morale convenzionale è lecita e legittimata da una funzione politica concepita in modo feudale. Si aggiunga poi il punto di vista dell' élite più solidale e compatta che esista in Italia, vale a dire la Chiesa cattolica. Un punto di vista prima diplomaticamente dissimulato,e poi invece sempre più esplicito, fondato ad esempio sulla condanna del «libertinaggio» da parte della Cei, che sembra aprire ufficialmente una questione di credibilità fra la gerarchia e il berlusconismo. Anche in questo caso Berlusconi ha tentato un recupero cercando un incontro al vertice in Vaticano, con l' idea di scambiare la propria attuale impresentabilità in quanto leader che si ispira al cattolicesimo con grandi concessioni sul testamento biologico e altre materie di interesse ecclesiastico (vedi i finanziamenti alla scuola privata). Questa strategia, con la ricerca affannosa di un «vertice» fra Berlusconi e Ratzinger, non sembra sposarsi facilmente con la tradizionale prudenza politica della Chiesa. Il popolo di Dio è rimasto gravemente sconcertato dai fasti della prostituzione di regime; nonostante i sondaggi esibiti dal premier, la sua caduta di affidabilità in diversi settori della base cattolica appare indubitabile. Con questo si torna inevitabilmente all' intreccio di verità e menzogna che si è stretto intorno al Sultano. Sciogliere questo intreccio con metodi istituzionali, ossia entrare in un' aula parlamentare e assumersi, argomentandola, una piena responsabilità istituzionale, non rientra nello stile berlusconiano. Lo fece Bettino Craxi, con lo storico discorso del 29 aprile 1993, «tutti colpevoli nessun colpevole», invitando il Parlamento a scagliare la prima pietra e trovando soltanto un silenzio imbarazzato e complice. Ma Craxi, a suo modo, era un leader classico. Berlusconi è uno showman post-democratico. Davanti a un meccanismo istituzionale che potrebbe rivolgergli domande, chiedergli spiegazioni, invitarlo a uscire dal lato oscuro del suo potere e del suo agire, si vede tutta la sua solitudine culturale, si avverte la convinzione di essere sciolto dalle leggi, il sentirsi padrone di apparati che è abituato a governare a suo arbitrio. E di considerarsi infine al di sopra di ogni giudizio. Per questo il premier non ce la fa a uscire dal pasticcio di verità finte e menzogne vere in cui si è cacciato. Non può accettare che un' aula «sorda e grigia» metta in discussione il suo ruolo e il suo potere. Può forzare ogni giorno la situazione, reclamando la propria totale estraneità al verdetto delle istituzioni e delle controparti politiche. Non si tratta soltanto di populismo. È la convinzione che la norma può essere fabbricata ex novo dal leader, che la menzogna è un elegante giro di valzer dentro l' alone di notti dorate, e che la verità è tutt' al più uno slogan pubblicitario: che alla fine convincerà senza troppa fatica tutti coloro che accetteranno di farsi convincere. - EDMONDO BERSELLI

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