domenica 18 luglio 2010

Il paese delle cricche, l'inverno dell'antitrust

di Roberta Carlini, da Il Manifesto on line

«Allarme concorrenza», titolava ieri Il Sole 24 Ore, in riferimento all'ultima vittoria dei camionisti: fine della contrattazione libera, ritorno alla tariffa minima. La minaccia del blocco estivo contro la mancata attuazione delle promesse, il potere di contrattazione dei bisonti della strada, la presenza nello stato maggiore del Pdl dei loro rappresentanti: tutte ragioni che hanno portato il governo a cedere, e a restituire il beneficio - che va ad aggiungersi ai 3,5 miliardi di aiuti ricevuti in dieci anni, avverte lo stesso quotidiano di Confindustria. Che si allarma anche per il fatto che la «legge per la concorrenza» è ferma nel cassetto. Insomma, il mercato può attendere, anzi può andare a farsi benedire. Allarmi liberisti fuori tempo massimo, non adatti al momento della crisi?
La questione non è così semplice. Tanto per cominciare, tutto ciò succede mentre i vertici di tutte le autorità di controllo dei mercati sono sospesi, in balìa dei giochi governativi: la Consob è senza testa, la testa dell'Antitrust sta traslocando alla Consob, l'Agcom non ne parliamo. La concorrenza non interesserà il governo, ma le sue poltrone certamente fanno gola. Ma c'è anche un'altra questione, che dovrebbe interessare ancor di più a sinistra, ed è in un nodo teorico e politico: l'antitrust, la concorrenza, sono un lusso che non ci si può permettere in tempi di crisi? Dobbiamo salutare con gioia, insieme all'ubriacatura neoliberista, anche il declino della concorrenza? Affrontano la questione di petto, in un libro appena uscito per Egea, Lapo Berti ed Andrea Pezzoli, economisti, che dell'Antitrust sono dirigenti. Il libro si intitola «Le stagioni dell'antitrust», e lascia intendere che siamo all'inverno di un'istituzione arrivata in Italia con un secolo di ritardo rispetto agli Usa, mai digerita dalla politica e dalle imprese, comunque protagonista di una tiepida primavera, di una breve estate e poi, adesso, di una lunga collezione autunno-inverno. Fuor di metafora, il libro sceglie appassionatamente la tesi opposta a quella oggi prevalente: no, dicono gli autori, la tutela della concorrenza non è un lusso. Anzi, il suo abbandono ai tempi della Grande depressione fece grandi danni. Semmai, oggi possiamo chiedere, e introdurre, politiche di accompagnamento e sostegno per le «vittime» dell'antitrust, quando queste sono tra le categorie più deboli e non tra i big dell'economia. 
Ma la lotta ai cartelli deve restare un obiettivo, e un cartello di oligopolisti non è più «buono» solo perché c'è la crisi. È questo uno dei punti-chiave del libro, che con confronti storici e riferimenti teorici cerca di dimostrare che la concorrenza non è un mito o un assunto ideologico, ma un bene comune. E ha il grande pregio di raccontare come ha funzionato l'antitrust in Italia, cosa è cambiato, come e perché (non) funzionano le sanzioni, quali sono i rischi delle novità degli ultimi anni, che hanno introdotto una sorta di programma-pentiti nell'antitrust e la possibilità di evitare i suoi rigori attraverso impegni contrattati tra controllori e controllati. 
Il tutto, con una convinta adesione etica al «bene comune» della regolazione del mercato: che - come qualsiasi richiamo a qualsivoglia regola - di questi tempi è messo a rischio in Italia, più che dalla crisi del sistema, dal sistema dalla cricca. Che in fondo cos'è, se non un gigantesco trust pubblico/privato?
(La versione completa dell'articolo sarà pubblicata su www.sbilanciamoci.info)

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