martedì 6 gennaio 2009

Una quarta mail reggiana su Gaza, di Clelia Mori

Carissimi/e,
in qualche maniera sono contenta della discussione complessa e a tratti anche aspra che si è sviluppata tra noi sull'angoscia della guerra tra Israele e Palestina. Molte/i di noi stanno lavorando e Carmen ha dato delle risposte importanti che condivido alla serie di domande che ho scritto precedentemente e ci aiuta a chiarirci, così come il fatto che abbiamo rimandato la nostra manifestazione di sabato per le ambiguità che poteva contenere. Anche se spiace che non ci sia la corrispondenza che pensavamo tra la nostra e quella che si è svolta in Israele.


Non è gradevole rimandare, ma credo che abbiamo colto un rischio importante, quello di cadere nel previsto, utile ed eterno tranello della guerra e del suo orrore : prendere parte, stare con una fazione invece che stare con la pace contro un uso distorto e mostruoso del potere, della forza, della violenza e della democrazia.
E allora credo dovremmo chiederci o almeno io mi chiedo perchè siamo, sono sempre a dover scegliere una delle parti in guerra? E mentre scelgo, so dentro di me che in quel modo contribuisco a continuare la spirale simbolica della guerra. Perchè prendendo le parti di una parte, mi metto contro l'altra ed entro anch'io nella loro guerra. Alimento nel mio piccolo, per senso di giustizia e per amore della pace, inevitabilmente, la continuità della guerra. E magari sto prendendo anche le difese del più debole e mi sento nel giusto nei confronti del più forte. Ma ugualmente so, dentro di me, che così non ci arriverò mai in fondo. E mi ci trovo dentro per aver scelto la pietà, la compassione, la condivisione del dolore e della violenza, assumendomela addosso. Come accadesse a me.
Ma forse l'assumo nel modo sbagliato. C'è qualcosa di sbagliato e di perverso in questo fare, che non mi appartiene, che mi infastidisce, ma che poi dimentico quando mi si presenta il conto degli orrori degli uni e degli altri, e mi sento spinta a non ascoltare la mia voce nascosta nel fondo e a stare con uno dei due contendenti perchè emerge una debolezza che ha bisogno di protezione e un potere profondamente arrogante. C'è una retorica consolidata della guerra che ti fa entrare in guerra senza saperlo.
Ho un bel dirmi che le e gli oppressi vanno difesi, ma mentre lo dico per linguaggio, per scelta di campo e di forma, vi entro guardandola da casa mia. E anch'io dico come i capi delle due fazioni : lo faccio per difendere la gente, i civili, le donne, i bambini...
Non metto in discussione la guerra come strumento, come invece dovrei, per avere una giustizia giusta. Non mi metto nelle condizioni di capire cosa serve per fermare la guerra e cosa serve per costruire la pace. Accetto la guerra, come forma d' espressione del governo del potere e vi entro dentro scegliendo - guidata dall'orrore - di alimentare la spirale a cui lo stesso orrore, costruito dalla guerra, mi porta e da cui, invece, vorrei fuggire. Perchè non voglio vedere morti violente e mi spaventa chi le procura - e quelle di guerra non sono meno illegittime di quelle rosa e di quelle bianche o di quelle di mafia - così reagisco scegliendo.
E in ogni guerra c'è una parte debole, in ogni guerra ci sono massacri e morte, in ogni guerra c'è chi vince e perde. E ogni guerra chiama a scegliere gli amanti della pace e della giustizia.
In ogni guerra c'è anche sempre qualcuno che gestisce il potere in entrambe le parti, ma questo non riesco a dirmelo fino in fondo. Troppo spesso il potere mi diventa invisibile e neutro e passa dietro il mio orrore per le stragi. E allora ci si accapiglia, tra chi vuole la pace, su chi è più vittima e meno carnefice per trovare la parte giusta in cui stare, elencando tutti i motivi che portano l'uno e l' altro dei contendenti a difendersi attaccando, con le armi che hanno a disposizione. Magari facendosele anche fornire da chi ha interesse a darle per perpetrare la guerra, tra qualche anno e qualche decennio, visto che continua da svariati anni e nasce, madre di tutte le ultime guerre, dalle scelte della fine della seconda guerra mondiale.
Sì, è il potere che sfugge ai nostri occhi, locale e globale. Il potere che rimanda sempre gli accordi della politica e li delega da sempre all'uso della forza. Anche quando non c'è particolare motivo di usarla così pesantemente per gestire delle elezioni personali e di partito in vista, in Israele e in Iran. Ma la crisi economica tollera e, forse vuole, anche questo. E assistiamo a un Sarkozy di destra che condanna Israele e a una donna di centro-sinistra come la Merkel che sta con Israele. E che dire di BaracK? E’ già finita la sua diversità da rifugiarsi dietro a : "C'è un presidente solo per volta", di fronte ad una guerra simbolo? Ha agito così da solo Bush? E noi e io allora cosa faccio? Prendo parte come ci impone la sofferenza atroce della guerra o cerco di rendere nudo il re, cerco di svelare il potere che tutto macina, me e noi compresi?
Sì, per me è il potere che va svelato nei suoi rituali da vittime e carnefici e in particolare chi lo incarna. E sono uomini, in carne ed ossa pieni di debolezze e di vigliaccherie, che credono di potersi nascondere dietro la democrazia di una scrivania e da lì decidere impunemente la sorte di decine di milioni di persone. Uomini abituati ad andare a braccetto con la violenza nelle cose quotidiane : quando si tratta di violentare o molestare una donna, Olmert insegna, e quando si tratta di far scoppiare una guerra. E' un pensiero che è in crisi, un pensiero unico che confonde politica con potere personale in diverse parti del globo e che non sa quasi mai fare quello che invece promette nelle elezioni : la politica.
Allora è questo pensiero da mettere in discussione e rendere democratico, anche quando per continuare ad esistere cambia faccia e assume le sembianze di donna. E' un pensiero che è nato regolandosi solo sul potere della forza e che in millenni non è mai riuscito a prenderne le distanze. Rivoluzionando il suo fare politica, proteggendo la vita con l'uso delle relazioni, come quasi sempre fanno le donne per tenerla in piedi, e non con le armi della morte. Non c'è nessun tipo di abilità in questo pensiero mortifero ma solo la denuncia di una grande impotenza come uomini della politica del potere. E' questa impotenza la molla di questo pensiero disumano? E' questa impotenza da nascondere con la guerra? Il potere tanto bramato si prende la sua rivincita svelando la sua im-potenza nel difendere la vita con la politica, da cui discende il potere personale. Con una grande amica a cui dicevo queste cose alcuni giorni fa, mi rispondeva : "Ma io non posso non prendere parte, quello che accade è troppo e non mi basta dire che il potere della forza è maschile, devo stare dalla parte di chi soffre". Le ho risposto : "Ci chiedono anche questo. Ci chiedono come donne, che si sono fatte attraversare il corpo dalla vita, di rinunciare a capire, a partire dalla sapienza del nostro corpo, da dove sappiamo nascere la violenza e il suo abuso. Facendocela immaginare come piccola cosa questo voler svelare la pochezza degli uomini che ci governano, di fronte a dilemmi molto più grandi di una relazione sbagliata tra i sessi. La guerra degli uomini di potere lo contempla e vuole la nostra rinuncia a capire da donne quel che accade, e noi ci rinunciamo?
Clelia Mori


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