mercoledì 20 maggio 2009

Giovani come tanti

di Lucia Annunziata - da La Stampa online
Ma, insomma, cosa mai devono fare, questi ragazzi? Se vogliono fare le letterine, li si accusa di seguire i più volgari modelli culturali. Se si chiudono in casa e chattano tutto il tempo, ci si allarma per una generazione distaccata dalla realtà. Se bevono ogni sera nella movida, li si descrive sulla strada dell’alcolismo. Se vanno in piazza per il Papa, li si guarda come premoderni. Se invece hanno rapporti sessuali, li si proclama amorali precoci. Se si iscrivono obbedienti alla trafila delle primarie del Pd, li si descrive come precoci burocrati. Se diventano giovani leader alla Bocconi o all’Aspen, li si racconta come mostri di ambizione. E se manifestano in piazza - come succede in questi giorni - non ne parliamo: eccole lì, le nuove leve del terrorismo.

È possibile che un Paese come il nostro, malato di misoginia e di xenofobia, risulti alla fine malato anche di fobia antigiovani. Ma, se di fobie si tratta, sotto si nasconde una serpe vera. Gli studenti asini, e le veline, e i solitari, e gli ambiziosi, rimangono relativamente visibili (e infatti se ne fregano delle nostre analisi - non so se lo sapete), ma affrontare ogni forma di rivolta giovanile come una questione di ordine pubblico è un azzardo. Arriviamo così a Torino, che in una settimana è stata il set di due episodi raccontati come paradigmatici di un clima e di un futuro. Parlo del centinaio di Cobas - li cito qui perché molti di loro erano giovani - che hanno attaccato Rinaldini e la Cgil, e le poche centinaia di studenti dell’anti-G8. Tante parole. Ma alla fine gli scontri di massa si sono risolti in un po’ di «cariche di alleggerimento» e tre-feriti-tre. Ugualmente si può dire dell’aggressione dei Cobas: non è affatto un avvenimento nuovo nella vita del sindacato, e la dimensione della contestazione è stata ridicola. Eppure, in entrambi i casi, come succede sempre più spesso, l’intera Nazione Istituzionale si è levata adombrando il pericolo terrorismo.Scusate se non mi unisco al coro, ma sia Torino (in grande) sia io (in piccolo) nella nostra comune vita ne abbiamo viste di ben peggiori. E la caduta dal palco di Rinaldini non è certo quella di Lama alla Università di Roma.Non voglio giustificare. Ma il terrorismo è stato una cosa seria. Le intemperanze, i musi, il ridicolo, gli «scazzi» e le violenze sono invece buona parte di quello che i giovani fanno in ogni società, in ogni tempo e in ogni luogo. Anche ora, in molti Paesi d’Europa. Questione di libertà, questione di testosterone.Perché dunque invocare sempre così facilmente l’ombra della rivolta armata, oggi in Italia? Non voglio dare questa risposta - essa stessa molto complessa. Dare un avvertimento tuttavia non costa molto. Per cui - per quel che serve - lo butto lì: se ogni ribellione, ogni contrazione della società deve essere rubricata sotto il nome di potenziale terrorismo, state attenti. Invocare l’Apocalisse a ogni tuono può davvero condurvici.

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