di Alberto Burgio, da il Manifesto on line
In un breve e complicato discorso di un mese fa, il presidente Napolitano esortò a non confondere la crisi della politica (che c'è) con la crisi della democrazia (a suo parere inesistente) e indicò nelle istituzioni repubblicane un riferimento fondamentale al fine di evitare pericolose confusioni. Non è semplice districarsi. Cos'è la crisi della politica? È crisi di efficacia? Di credibilità e prestigio? È crisi morale o istituzionale? Soprattutto: può, in una repubblica democratica, darsi crisi della politica senza che la qualità della democrazia ne venga intaccata?
In una democrazia, sinonimo di sovranità popolare, è essenziale il rispetto delle norme, a cominciare da quella fondamentale, che racchiude i principi-base del patto tra cittadini e istituzioni. Se accettiamo questo schema elementare, allora sembra difficile concordare con il presidente. La crisi è profonda e investe precisamente il fondamento della nostra democrazia. Limitiamoci a nominare pochi esempi.
La Costituzione del 1948 è pacifista e l'Italia è in guerra da una quindicina d'anni. La Costituzione indica nel lavoro il fulcro della democrazia, considera il lavoro subordinato un soggetto unitario, meritevole di protezione e titolare di diritti inalienabili, e da oltre dieci anni i governi non fanno che ridurre tutele, cancellare diritti, accrescere precarietà e segmentare il lavoro dipendente. La Costituzione disegna un sistema politico a centralità parlamentare e allude a una rappresentanza proporzionale. Ma da un decennio non si fa che varare «riforme» elettorali e istituzionali che emarginano il Parlamento, introducono elementi di presidenzialismo decisionista e impongono una sorta di bipolarismo coatto tendente al bipartitismo, in violazione del principio di uguaglianza nel diritto alla rappresentanza.
La legge sulla sicurezza, poi, privatizza una funzione-chiave della sovranità come la tutela della sicurezza sul territorio nazionale e re-introduce norme francamente razziste (si è puniti per quel che si è, non per quel che si fa) che ci riportano dritti al 1938. Il progetto TivùSat (di cui pochissimi giornali - tra cui il manifesto - hanno parlato) concentra nelle mani di un'unica persona (il padrone di Mediaset, presidente del Consiglio) il controllo del 96% della nuova piattaforma satellitare. Infine, il terzo scudo fiscale di Tremonti vara l'ennesima amnistia mascherata per gli evasori nel Paese occidentale che vanta il record assoluto di evasione fiscale. Uno dei fondamenti delle democrazie borghesi lega l'onere fiscale al diritto di rappresentanza. C'è da chiedersi se il fatto che in Italia il potere politico sia da tempo prerogativa dei grandi evasori e dei loro garanti non leda in radice questo principio-base. Ce n'è abbastanza per dire che la Costituzione somiglia sempre più a un venerabile simulacro, e il problema non si risolve certo rimuovendolo. Per parafrasare le parole di Napolitano, la crisi della politica c'è ed è grave proprio perché è in crisi la democrazia e le sue istituzioni.
Resta da domandarsi dove nasca questa grave patologia. Una volta tanto non daremo tutta la colpa a Berlusconi e alla sua parte politica. Il problema nasce a monte. È il neoliberismo a scaricare un impatto eversivo sulla Costituzione. L'estrema subordinazione del lavoro dipendente; la privatizzazione delle istituzioni e della sfera pubblica; lo smantellamento del welfare; la guerra e la gestione razzista delle migrazioni, tutto questo è parte integrante della costituzione materiale del capitalismo neoliberista ed è l'esatto contrario del modello sociale inclusivo ed egualitario al quale guardavano i nostri costituenti.
Se la Costituzione resta formalmente in vita mentre prende corpo una forma di governo autoritaria e oligarchica (che ricorda il progetto piduista), non torna allora utile il discorso del «doppio Stato»: l'ipotesi che, nel rispetto apparente della legalità costituzionale, si venga consolidando un diverso sistema di dominio improntato all'arbitrio e alla corruzione, plasticamente aderente agli assetti di potere di una società sempre più ineguale ed immobile? Dovessimo rispondere di sì, potremmo finalmente celebrare la nascita della famigerata «seconda Repubblica».
In un breve e complicato discorso di un mese fa, il presidente Napolitano esortò a non confondere la crisi della politica (che c'è) con la crisi della democrazia (a suo parere inesistente) e indicò nelle istituzioni repubblicane un riferimento fondamentale al fine di evitare pericolose confusioni. Non è semplice districarsi. Cos'è la crisi della politica? È crisi di efficacia? Di credibilità e prestigio? È crisi morale o istituzionale? Soprattutto: può, in una repubblica democratica, darsi crisi della politica senza che la qualità della democrazia ne venga intaccata?
In una democrazia, sinonimo di sovranità popolare, è essenziale il rispetto delle norme, a cominciare da quella fondamentale, che racchiude i principi-base del patto tra cittadini e istituzioni. Se accettiamo questo schema elementare, allora sembra difficile concordare con il presidente. La crisi è profonda e investe precisamente il fondamento della nostra democrazia. Limitiamoci a nominare pochi esempi.
La Costituzione del 1948 è pacifista e l'Italia è in guerra da una quindicina d'anni. La Costituzione indica nel lavoro il fulcro della democrazia, considera il lavoro subordinato un soggetto unitario, meritevole di protezione e titolare di diritti inalienabili, e da oltre dieci anni i governi non fanno che ridurre tutele, cancellare diritti, accrescere precarietà e segmentare il lavoro dipendente. La Costituzione disegna un sistema politico a centralità parlamentare e allude a una rappresentanza proporzionale. Ma da un decennio non si fa che varare «riforme» elettorali e istituzionali che emarginano il Parlamento, introducono elementi di presidenzialismo decisionista e impongono una sorta di bipolarismo coatto tendente al bipartitismo, in violazione del principio di uguaglianza nel diritto alla rappresentanza.
La legge sulla sicurezza, poi, privatizza una funzione-chiave della sovranità come la tutela della sicurezza sul territorio nazionale e re-introduce norme francamente razziste (si è puniti per quel che si è, non per quel che si fa) che ci riportano dritti al 1938. Il progetto TivùSat (di cui pochissimi giornali - tra cui il manifesto - hanno parlato) concentra nelle mani di un'unica persona (il padrone di Mediaset, presidente del Consiglio) il controllo del 96% della nuova piattaforma satellitare. Infine, il terzo scudo fiscale di Tremonti vara l'ennesima amnistia mascherata per gli evasori nel Paese occidentale che vanta il record assoluto di evasione fiscale. Uno dei fondamenti delle democrazie borghesi lega l'onere fiscale al diritto di rappresentanza. C'è da chiedersi se il fatto che in Italia il potere politico sia da tempo prerogativa dei grandi evasori e dei loro garanti non leda in radice questo principio-base. Ce n'è abbastanza per dire che la Costituzione somiglia sempre più a un venerabile simulacro, e il problema non si risolve certo rimuovendolo. Per parafrasare le parole di Napolitano, la crisi della politica c'è ed è grave proprio perché è in crisi la democrazia e le sue istituzioni.
Resta da domandarsi dove nasca questa grave patologia. Una volta tanto non daremo tutta la colpa a Berlusconi e alla sua parte politica. Il problema nasce a monte. È il neoliberismo a scaricare un impatto eversivo sulla Costituzione. L'estrema subordinazione del lavoro dipendente; la privatizzazione delle istituzioni e della sfera pubblica; lo smantellamento del welfare; la guerra e la gestione razzista delle migrazioni, tutto questo è parte integrante della costituzione materiale del capitalismo neoliberista ed è l'esatto contrario del modello sociale inclusivo ed egualitario al quale guardavano i nostri costituenti.
Se la Costituzione resta formalmente in vita mentre prende corpo una forma di governo autoritaria e oligarchica (che ricorda il progetto piduista), non torna allora utile il discorso del «doppio Stato»: l'ipotesi che, nel rispetto apparente della legalità costituzionale, si venga consolidando un diverso sistema di dominio improntato all'arbitrio e alla corruzione, plasticamente aderente agli assetti di potere di una società sempre più ineguale ed immobile? Dovessimo rispondere di sì, potremmo finalmente celebrare la nascita della famigerata «seconda Repubblica».