di Ida Dominijanni, da il Manifesto on line
Non è che la Chiesa non abbia trovato per condannare l'etica pubblica e privata del presidente del consiglio le stesse parole chiare e forti che ora trova per condannare l'uso della RU486, come denuncia Vito Mancuso su "la Repubblica" di ieri. È che le ha sospese, le parole di condanna verso Berlusconi, in attesa di potere stabilire un'equivalenza fra il «maschilismo hard che vede la donna come strumento sessuale» e il femminismo altrettanto hard che vede l'aborto chimico come strumento di libertà procreativa (editoriale de l'"Avvenire" di domenica). Fatta l'equivalenza, trovato lo scambio: il governo si dia da fare per levare di torno quella dannata pillola, e sugli scandali del premier, annunciano le indiscrezioni, scenderà la misericordia divina.
È un argomento da voltastomaco, al quale si può replicare solo con un'altra equivalenza di pari violenza, questa: che sia il premier o che sia la Chiesa, sempre di mercificazione del corpo femminile si tratta, e sempre di utilizzatori finali. Merce di piacere per il premier, merce di scambio politico per il Vaticano. Pari e patta. E sarebbe da chiudere qui.
Con tre codicilli però. Primo. Anche stavolta la Chiesa non perde l'occasione di farsi opportunisticamente interprete e alleata del senso comune più vieto. Il quale scava, come la proverbiale vecchia talpa, cunicoli di colpevolizzazione femminile per uscire in qualche modo dal tunnel dell'imbarazzo in cui si ritrova infilato dai noti fatti di palazzo Grazioli e di villa Certosa. Provate a parlarne sotto un ombrellone, e troverete frotte di uomini e di donne pronti ad ammettere che sì, «lui» ha esagerato, «ma anche queste ragazze che ci stanno...». Queste ragazze che ci stanno in primo luogo ci stanno fino a un certo punto, come s'è visto, in secondo luogo non sono dei monumenti morali neanche loro ma non per questo le si può spacciare come equivalenti a «lui»: c'è di mezzo una disparità di potere, di ruolo e di responsabilità grande come Palazzo Chigi. Usufruire della prostituzione dal vertice del potere politico non è la stessa cosa che esercitarla dal basso della necessità, della disperazione, dello squallore e nemmeno della scelta. La responsabilità morale e politica di un presidente del consiglio non è la stessa di una escort. La retorica berlusconiana incentrata sulla favola del «sono uno di voi» è riuscita a far apparire il potere del tutto trasparente, ingenuo, innocuo?
Secondo. In un articolo sul "manifesto" di domenica scorsa che condivido dall'a alla z, Tamar Pitch notava come la miseria del maschile messa in scena dai suddetti noti fatti parli di una paura delle donne che si dispiega nell'immaginario degli ultimi decenni, popolato di «mostri femminili, donne onnipotenti padrone della vita e della morte, assassine di embrioni». Eccoci infatti di nuovo al punto, come ad ogni tornante dell'infinita guerra culturale sull'aborto. E il punto, sulla Ru486, non è tecnico: invasività, pericolosità, efficacia, garanzie sanitarie. Il punto è che la pillola è un coadiuvante dell'irresponsabilità, della leggerezza, della smisuratezza, della ferocia delle donne, assassine di embrioni. Le quali, com'è noto, ad abortire si divertono, e con la pillola rischiano di divertirsi di più.
Infatti, e terzo. A fronte dell'imbarazzante e complice silenzio sulla miseria del maschile di cui sopra, che sempre Pitch è opportunamente tornata a denunciare, gli uomini non cessano mai di parlare quando si tratta di una questione di squisita competenza femminile come l'aborto. E stavolta bisogna pure ringraziarli per le enormità e i lapsus che gli escono di bocca.
Prendiamo il senatore Quagliariello, che in casi come questi si guadagna sempre l'oscar e se l'è guadagnato anche stavolta dichiarando che «se come ci hanno sempre detto l'aborto deve essere un dramma», la pillola non va bene perché lo sdrammatizza: c'è un «deve» di troppo, senatore, l'aborto è, non dev'essere, un dramma. Oppure prendiamo l'Elefantino - cui va riconosciuto il primato cronologico assoluto, risalente agli anni '80, nella guerra alla Ru486 - sul "Foglio" di ieri: «La pillola che uccide in apparenza serenamente serve culturalmente proprio a questo: a garantire l'ideologia asettica e anestetica di una vita che si costruisce nel disprezzo di un'altra vita, nell'idea di un godimento libertino, devastante, del piacere sessuale scardinato da qualunque amore, da qualunque libertà e responsabilità». Forse nella testa dell'Elefantino la pillola si confonde con le notti a palazzo Grazioli.
Non è che la Chiesa non abbia trovato per condannare l'etica pubblica e privata del presidente del consiglio le stesse parole chiare e forti che ora trova per condannare l'uso della RU486, come denuncia Vito Mancuso su "la Repubblica" di ieri. È che le ha sospese, le parole di condanna verso Berlusconi, in attesa di potere stabilire un'equivalenza fra il «maschilismo hard che vede la donna come strumento sessuale» e il femminismo altrettanto hard che vede l'aborto chimico come strumento di libertà procreativa (editoriale de l'"Avvenire" di domenica). Fatta l'equivalenza, trovato lo scambio: il governo si dia da fare per levare di torno quella dannata pillola, e sugli scandali del premier, annunciano le indiscrezioni, scenderà la misericordia divina.
È un argomento da voltastomaco, al quale si può replicare solo con un'altra equivalenza di pari violenza, questa: che sia il premier o che sia la Chiesa, sempre di mercificazione del corpo femminile si tratta, e sempre di utilizzatori finali. Merce di piacere per il premier, merce di scambio politico per il Vaticano. Pari e patta. E sarebbe da chiudere qui.
Con tre codicilli però. Primo. Anche stavolta la Chiesa non perde l'occasione di farsi opportunisticamente interprete e alleata del senso comune più vieto. Il quale scava, come la proverbiale vecchia talpa, cunicoli di colpevolizzazione femminile per uscire in qualche modo dal tunnel dell'imbarazzo in cui si ritrova infilato dai noti fatti di palazzo Grazioli e di villa Certosa. Provate a parlarne sotto un ombrellone, e troverete frotte di uomini e di donne pronti ad ammettere che sì, «lui» ha esagerato, «ma anche queste ragazze che ci stanno...». Queste ragazze che ci stanno in primo luogo ci stanno fino a un certo punto, come s'è visto, in secondo luogo non sono dei monumenti morali neanche loro ma non per questo le si può spacciare come equivalenti a «lui»: c'è di mezzo una disparità di potere, di ruolo e di responsabilità grande come Palazzo Chigi. Usufruire della prostituzione dal vertice del potere politico non è la stessa cosa che esercitarla dal basso della necessità, della disperazione, dello squallore e nemmeno della scelta. La responsabilità morale e politica di un presidente del consiglio non è la stessa di una escort. La retorica berlusconiana incentrata sulla favola del «sono uno di voi» è riuscita a far apparire il potere del tutto trasparente, ingenuo, innocuo?
Secondo. In un articolo sul "manifesto" di domenica scorsa che condivido dall'a alla z, Tamar Pitch notava come la miseria del maschile messa in scena dai suddetti noti fatti parli di una paura delle donne che si dispiega nell'immaginario degli ultimi decenni, popolato di «mostri femminili, donne onnipotenti padrone della vita e della morte, assassine di embrioni». Eccoci infatti di nuovo al punto, come ad ogni tornante dell'infinita guerra culturale sull'aborto. E il punto, sulla Ru486, non è tecnico: invasività, pericolosità, efficacia, garanzie sanitarie. Il punto è che la pillola è un coadiuvante dell'irresponsabilità, della leggerezza, della smisuratezza, della ferocia delle donne, assassine di embrioni. Le quali, com'è noto, ad abortire si divertono, e con la pillola rischiano di divertirsi di più.
Infatti, e terzo. A fronte dell'imbarazzante e complice silenzio sulla miseria del maschile di cui sopra, che sempre Pitch è opportunamente tornata a denunciare, gli uomini non cessano mai di parlare quando si tratta di una questione di squisita competenza femminile come l'aborto. E stavolta bisogna pure ringraziarli per le enormità e i lapsus che gli escono di bocca.
Prendiamo il senatore Quagliariello, che in casi come questi si guadagna sempre l'oscar e se l'è guadagnato anche stavolta dichiarando che «se come ci hanno sempre detto l'aborto deve essere un dramma», la pillola non va bene perché lo sdrammatizza: c'è un «deve» di troppo, senatore, l'aborto è, non dev'essere, un dramma. Oppure prendiamo l'Elefantino - cui va riconosciuto il primato cronologico assoluto, risalente agli anni '80, nella guerra alla Ru486 - sul "Foglio" di ieri: «La pillola che uccide in apparenza serenamente serve culturalmente proprio a questo: a garantire l'ideologia asettica e anestetica di una vita che si costruisce nel disprezzo di un'altra vita, nell'idea di un godimento libertino, devastante, del piacere sessuale scardinato da qualunque amore, da qualunque libertà e responsabilità». Forse nella testa dell'Elefantino la pillola si confonde con le notti a palazzo Grazioli.