di Pierluigi Sullo [15 Ottobre 2009]
Traducción: Ruben Montedónico.
Pubblicato da La Jornada di Città del Messico sabato 10 ottobre 2009
Quando gli amici de La Jornada, grande quotidiano di Città del Messico, mi hanno chiesto un articolo, all’indomani della bocciatura del Lodo Alfano, mi sono chiesto se sarei stato in grado di far capire a un lettore messicano cosa diavolo capita in Italia. Giudicate voi. L’articolo è stato pubblicato sabato 10 ottobre. In calce, la traduzione in spagnolo.
L’Italia sta stabilendo un record: sperimentare, da paese del primo mondo e membro dell’Unione europea, della Nato e del G8, la trasformazione traumatica del suo assetto politico e istituzionale: da democrazia rappresentativa a qualcos’altro, le cui forme sono sconosciute ma la cui sostanza è evidente, un principato o dittatura monocratica che elimina la supremazia del parlamento sull’esecutivo, com’è scritto nella Costituzione del 1947, annulla l’indipendenza della magistratura, completa l’allineamento dei media al servizio del governo.
Pare una affermazione eccessiva. Molte voci, nel dibattito pubblico, replicano: «Ma noi non siamo una repubblica delle banane sudamericana». I pregiudizi sono duri a morire, e quel che sta accadendo in America latina, i movimenti sociali e i governi indipendenti dagli Usa, è per lo più ignoto, da noi. Tanto più che le forme della democrazia, fin qui, restano in piedi, come le facciate delle case dei villaggi del West nel film di Hollywood. Di più: la resistenza è forte, anche nelle istituzioni, come testimonia la sentenza della Corte costituzionale che qualche giorno fa ha annullato la legge grazie alla quale le quattro maggiori cariche dello Stato, il presidente della repubblica, i presidenti dei due rami del parlamento e soprattutto il presidente del consiglio, godevano di una sostanziale immunità, di fronte alla legge, per la durata del loro mandato. O come mostra, ancora, la grande manifestazione – centinaia di migliaia di persone in piazza a Roma – organizzata dal sindacato dei giornalisti a difesa della libertà di stampa, dopo gli attacchi del capo del governo a giornali e trasmissioni televisive che ne criticano scelte e atteggiamenti. Così, parrebbe che l’integrità dell’assetto costituzionale e i tentativi di modificarlo si scontrino tra loro, mantenendo un certo equilibrio.
Ma a guardare più da vicino, ed esercitando un poco di memoria, si vede come negli ultimi mesi siano arrivati a un punto critico processi di mutamento sostanziale del sistema politico e istituzionale cominciati una quindicina di anni fa con lo scandalo di Tangentopoli, che distrusse i partiti dominanti della cosiddetta «prima repubblica»; in particolare il partito-Stato della Democrazia cristiana, e con la «scesa in campo», nel 1994, di un potente delle televisioni, della finanza, dell’editoria, dell’edilizia e di molte altre cose, Silvio Berlusconi. Il quale introdusse un ingrediente fino ad allora sconosciuto: il marketing elettorale, gonfiato dalle sue televisioni, attorno a un partito-azienda, o partito-prodotto, chiamato Forza Italia. E soprattutto inaugurò la figura di un capo di governo che si comportava come il presidente di un consiglio di amministrazione, cioè lui stesso, dotato potenzialmente di ogni potere, dunque spogliato di ogni cultura democratica, che è appunto quella dell’equilibrio tra poteri che i costituenti, dopo il fascismo, avevano prudentemente disegnato. La frantumazione sociale causata dal liberismo, che ha indebolito le organizzazioni dei lavoratori e le sinistre, e l’illusione dell’arricchimento individuale, nonché il fenomeno della Lega nel nord del paese, che rappresenta appunto la spinta a competere nel mercato mondiale da parte di un popolo di piccoli industriali, hanno fatto da scenario positivo per l’avventura in politica di Berlusconi. Il cui messaggio fondamentale è stato, come fu per Napoleone III nel racconto di Marx, «arricchitevi!». Ovvero: potete tutti diventare ricchi, se mi imitate e mi sostenete.
La vita politica italiana è stata dominata, per un quindicennio, da questo personaggio e da questa «narrazione», e le due occasioni in cui il centrosinistra, con il suo discorso liberista moderato, ha prevalso alle elezioni, non sono state che parentesi. Ed ora il processo precipita in qualcos’altro. L’apparente rispetto di Berlusconi per le forme della democrazia, rendendola quel che qualcuno, utilizzando Guy Debord, ha chiamato «democrazia spettacolare», si sta sbriciolando. Quel che sta emergendo è il nucleo duro, dirigista e intollerante, del berlusconismo. Negli ultimi mesi una serie di scandali avrebbero dovuto indurlo a dimettersi o a moderare i toni. La clamorosa scoperta di un giro di prostitute che partecipavano a «feste» nella casa romana del primo ministro, ad esempio. Gli attacchi forsennati alla stampa e alle poche trasmissioni televisive che lo incalzano su queste faccende. I numerosi processi per corruzione e altri reati in cui è coinvolto, ultimo quello sulla Mondadori, grande casa editrice di cui Berlusconi si assicurò la proprietà, anni fa, corrompendo un giudice. Le ricorrenti voci sul fatto che i processi per le stragi di mafia dei primi anni novanta lo implicherebbero, cosa a cui lui stesso alluse in uno dei consueti comizi contro i «giudici rossi». Infine, appunto, la bocciatura, da parte della Corte costituzionale, della legge sull’impunità.
A tutto questo Berlusconi ha reagito con insulti al presidente della repubblica e alla Suprema corte, favorendo campagne di stampa diffamatorie contro i suoi avversari interni, come il presidente della camera Fini, cercando di impadronirsi definitivamente della tv pubblica, la Rai, riducendo il parlamento a un notaio degli atti del governo [il 90 per cento delle leggi approvate sono di iniziativa dell’esecutivo, da un anno in qua].
Ma questa è solo la superficie istituzionale, per così dire. La legge che ha introdotto il reato di «clandestinità», per cui è un migrante è colpevole per il solo fatto di essere in Italia senza documenti, ha creato un clima di paura e di caccia all’uomo. Altre leggi hanno del tutto escluso le comunità locali nei procedimenti per l’approvazione di «grandi opere», il che equivale, per citare i bolscevichi, a un «liberismo di guerra». La crisi economica, che sta provocando un drammatico aumento della disoccupazione, viene semplicemente negata dal governo, che non può abbandonare facilmente il messaggio dell’«arricchitevi». Mentre la campagna sulla «sicurezza» ha spinto nelle strade reparti dell’esercito, presuntamente alla ricerca di delinquenti, e legittimato le cosiddette «ronde», gruppi di civili che si sostituiscono alle forze dell’ordine. La spinta della Lega nord non solo verso un regime anche formalmente razzista, ma per il «federalismo fiscale», ossia la sottrazione delle regioni del nord dalla fiscalità generale, base dello Stato, hanno accentuato lo squilibrio già molto grave, e storico, tra sud e nord del paese.
L’Italia è in questo momento un paese molto interessante, purtroppo per i motivi sbagliati. La determinazione di Berlusconi nel restare al potere ad ogni costo può provocare eventi imprevedibili e, appunto, modificare l’assetto istituzionale democratico-liberale. In che tempi e con che mezzi nessuno lo sa, nemmeno il «premier». Siamo, come direbbe Almodovar, sull’orlo di una crisi di nervi, forse anche oltre.
El laboratorio italiano
Pierluigi Sullo*
Italia está imponiendo récord: como país del primer mundo, miembro de la Unión Europea, de la Organización del Tratado del Atlántico Norte (OTAN) y del G-8, experimenta la transformación traumática de su ordenamiento político e institucional; de una democracia representativa va hacia otra cosa, cuya forma aún es desconocida pero sostenida y evidente, como un principado o una dictadura unipersonal, que elimina la supremacía del Legislativo sobre el Ejecutivo –según lo ordena la Constitución de 1947–, anula la independencia del Poder Judicial y se complementa con la alineación de los medios de comunicación que se ponen al servicio del gobierno.
Lo anterior puede parecer una afirmación excesiva. Muchas voces replican: Nosotros no somos una republiqueta bananera. Los prejuicios se niegan a morir, y aquello que acontece en América Latina, los movimientos sociales y los gobiernos independientes de Estados Unidos, son ignorados por gran parte de nuestro público. Otro tanto ocurre con las formas de democracia en esas latitudes: al fin, lo que predomina son las visiones estereotipadas que nos aportaron las películas de Hollywood.
En contrasentido, la resistencia aquí es fuerte por parte de las instituciones, como lo testimonia la sentencia del Tribunal Constitucional que en estos días anuló la ley por la cual los cuatro principales cargos del gobierno estatal –el presidente de la república, los presidentes de cada rama del Legislativo y sobre todo el presidente del consejo de gobierno– gozaban de inmunidad especial durante sus mandatos.
Otro tanto exhiben ahora las grandes manifestaciones, como la organizada por el sindicato de periodistas –que reunió a centenares de miles de personas en Roma– en defensa de la libertad de expresión, tras los ataques del gobierno a los periódicos y a las transmisiones televisivas especialmente críticas y mordaces. Así, entonces, pareciera que la confrontación entre los defensores de la integridad del ordenamiento constitucional y quienes pretenden modificarlo se encuentran, ambas, en cierto equilibrio.
Pero si se observa más de cerca, y se ejercita la memoria, se ve cómo en los últimos meses han arribado a un punto crítico los procesos de cambios sustanciales en el sistema político e institucional, comenzando una quincena de años con el escándalo de Tangentopoli1, que destruye a los partidos dominantes de la considerada primera república, en particular el partido (Estado) de la Democracia Cristiana, y con el surgimiento –a partir de 1994– de un poderoso empresario de las televisoras, las finanzas, las editoriales, las constructoras y muchas otras cosas: Silvio Berlusconi. Éste introdujo en su momento un ingrediente novedoso, hasta ese momento desconocido, el marketing electoral –propulsado por los aires de sus televisoras– en torno a su partido-hacienda, su partido-producto llamado Forza Italia. Pero, sobre todo, instaló la figura de un “capo de gobierno” que se comportó como el presidente de un consejo de administración; es decir, idéntico a éste, dotado potencialmente de todos los poderes –aunque despojado de cualquier cultura democrática respetuosa de la máxima que otorga equilibrio entre los poderes constituidos–, desde un fascismo largamente proyectado.
El rompimiento social causado por el liberalismo, que debilitó las organizaciones de trabajadores y a la izquierda con las ilusiones del enriquecimiento individual, así como la Liga del Norte del país –representante ni más ni menos del impulso para competir en el mercado mundial por parte de un sector de pequeños industriales– montaron un escenario positivo para la aventura política de Berlusconi. Su mensaje político fundamental, como fue el de Napoleón III en la narración de Marx, ¡arriésguense! Claro: todos pueden volverse ricos, si me imitan y me sostienen.
La vida política italiana ha estado dominada, durante tres lustros, por este personaje con este mensaje, y en las dos ocasiones en los que la centroizquierda, con un discurso liberal moderado, ha ganado las elecciones, no han sido más que un paréntesis. Ahora el proceso institucional se precipita hacia otro lado. El aparente respeto de Berlusconi por las formas de la democracia, asegurando que él es sólo uno más, utilizando lo que Guy Debord llama democracia espectacular, se está desmenuzando. Aquello que está emergiendo es el núcleo duro, dirigista e intolerante del berlusconismo. En los últimos meses una serie de escándalos debieron inducirlo a dimitir o por lo menos, aunque más no fuera, a moderar los tonos. El estruendoso descubrimiento de un circuito de prostitutas que participaban en fiestas en la residencia romana del primer ministro es un ejemplo. Los ataques se publicaron en periódicos y por algunas pocas trasmisiones de televisión que lo captaron en sus quehaceres.
Los numerosos procesos por corrupción y otros hechos en los que se ha visto envuelto, el último en Mondadori –la gran casa editorial de la que Berlusconi se hizo propietario hace unos años– incluyen a un juez. Son recurrentes, también, las voces en los procesos contra la mafia en los 90 que lo implicaron, ante lo cual se defiende argumentando con uno de sus recursos favoritos que acusa a la judicatura de tener jueces rojos.
En fin, subrayo la reprobación por parte del Tribunal Constitucional de la ley de la impunidad.
A todo esto Berlusconi ha reaccionado con insultos hacia los presidentes de la república y de la Suprema Corte, iniciando una campaña difamatoria contra sus adversarios internos, como el presidente de la Cámara de Diputados, Gianfranco Fini, al intentar apoderarse definitivamente de la televisión pública –la Rai– reduciendo el Congreso a un notario de los actos del gobierno (90 por ciento de las leyes aprobadas en el último año han sido iniciativa enviadas por el Ejecutivo).
Pero, hay que decirlo, esto es sólo la superficie institucional. La ley que ha introducido el delito de clandestinidad, por el cual un migrante es culpable por el solo hecho de estar en Italia sin documentos, ha creado un clima de terror y de caza del hombre. Otras normas han excluido del todo a las comunidades locales en los procedimientos para la aprobación de las grandes obras, lo que equivale –parafraseando a los bolcheviques– a un liberalismo de guerra. La crisis económica, que está provocando un dramático aumento de la desocupación, es simplemente negada por el gobierno, que no puede abandonar con facilidad el mensaje de arriésguense. Mientras la campaña sobre la seguridad ha justificado las apariciones del ejército italiano en las calles, presuntamente en búsqueda de apresar delincuentes, se han legitimado las denominadas rondas, los grupos de civiles que suplantan a las fuerzas del orden.
El impulso dado por la Liga del Norte no es sólo hacia un régimen que fomenta el racismo, sino el federalismo fiscal, o sea la sustracción de la región del norte de las cargas fiscales generales, base de la captación del Estado, con lo cual acentúan los desequilibrios, ya muy graves, históricos, entre el sur y norte del país.
Italia es en este momento un país sumamente interesante para observar por todos los motivos señalados. La determinación de Berlusconi de mantenerse en el poder a cualquier costo puede provocar situaciones impredecibles y, advierto, modificar la ingeniería institucional democrático-liberal. En qué tiempo y con qué medios, nadie lo sabe, y menos el premier. Estamos, como diría Almodóvar, al borde de una crisis de nervios, o, tal vez, más allá.
1 Manos Limpias (Mani pulite) se conoce al proceso judicial llevado a cabo por el fiscal Antonio di Pietro en 1992. El mismo descubrió una extensa red de corrupción que implicaba a los principales partidos políticos de entonces y a varios grupos empresariales. Los hechos causaron conmoción pública, conociéndose como la tangentopoli. Tangente se entiende como comisión ilegal (mordida) en italiano (N. del T.).
Traducción: Ruben Montedónico.
Pubblicato da La Jornada di Città del Messico sabato 10 ottobre 2009
Quando gli amici de La Jornada, grande quotidiano di Città del Messico, mi hanno chiesto un articolo, all’indomani della bocciatura del Lodo Alfano, mi sono chiesto se sarei stato in grado di far capire a un lettore messicano cosa diavolo capita in Italia. Giudicate voi. L’articolo è stato pubblicato sabato 10 ottobre. In calce, la traduzione in spagnolo.
L’Italia sta stabilendo un record: sperimentare, da paese del primo mondo e membro dell’Unione europea, della Nato e del G8, la trasformazione traumatica del suo assetto politico e istituzionale: da democrazia rappresentativa a qualcos’altro, le cui forme sono sconosciute ma la cui sostanza è evidente, un principato o dittatura monocratica che elimina la supremazia del parlamento sull’esecutivo, com’è scritto nella Costituzione del 1947, annulla l’indipendenza della magistratura, completa l’allineamento dei media al servizio del governo.
Pare una affermazione eccessiva. Molte voci, nel dibattito pubblico, replicano: «Ma noi non siamo una repubblica delle banane sudamericana». I pregiudizi sono duri a morire, e quel che sta accadendo in America latina, i movimenti sociali e i governi indipendenti dagli Usa, è per lo più ignoto, da noi. Tanto più che le forme della democrazia, fin qui, restano in piedi, come le facciate delle case dei villaggi del West nel film di Hollywood. Di più: la resistenza è forte, anche nelle istituzioni, come testimonia la sentenza della Corte costituzionale che qualche giorno fa ha annullato la legge grazie alla quale le quattro maggiori cariche dello Stato, il presidente della repubblica, i presidenti dei due rami del parlamento e soprattutto il presidente del consiglio, godevano di una sostanziale immunità, di fronte alla legge, per la durata del loro mandato. O come mostra, ancora, la grande manifestazione – centinaia di migliaia di persone in piazza a Roma – organizzata dal sindacato dei giornalisti a difesa della libertà di stampa, dopo gli attacchi del capo del governo a giornali e trasmissioni televisive che ne criticano scelte e atteggiamenti. Così, parrebbe che l’integrità dell’assetto costituzionale e i tentativi di modificarlo si scontrino tra loro, mantenendo un certo equilibrio.
Ma a guardare più da vicino, ed esercitando un poco di memoria, si vede come negli ultimi mesi siano arrivati a un punto critico processi di mutamento sostanziale del sistema politico e istituzionale cominciati una quindicina di anni fa con lo scandalo di Tangentopoli, che distrusse i partiti dominanti della cosiddetta «prima repubblica»; in particolare il partito-Stato della Democrazia cristiana, e con la «scesa in campo», nel 1994, di un potente delle televisioni, della finanza, dell’editoria, dell’edilizia e di molte altre cose, Silvio Berlusconi. Il quale introdusse un ingrediente fino ad allora sconosciuto: il marketing elettorale, gonfiato dalle sue televisioni, attorno a un partito-azienda, o partito-prodotto, chiamato Forza Italia. E soprattutto inaugurò la figura di un capo di governo che si comportava come il presidente di un consiglio di amministrazione, cioè lui stesso, dotato potenzialmente di ogni potere, dunque spogliato di ogni cultura democratica, che è appunto quella dell’equilibrio tra poteri che i costituenti, dopo il fascismo, avevano prudentemente disegnato. La frantumazione sociale causata dal liberismo, che ha indebolito le organizzazioni dei lavoratori e le sinistre, e l’illusione dell’arricchimento individuale, nonché il fenomeno della Lega nel nord del paese, che rappresenta appunto la spinta a competere nel mercato mondiale da parte di un popolo di piccoli industriali, hanno fatto da scenario positivo per l’avventura in politica di Berlusconi. Il cui messaggio fondamentale è stato, come fu per Napoleone III nel racconto di Marx, «arricchitevi!». Ovvero: potete tutti diventare ricchi, se mi imitate e mi sostenete.
La vita politica italiana è stata dominata, per un quindicennio, da questo personaggio e da questa «narrazione», e le due occasioni in cui il centrosinistra, con il suo discorso liberista moderato, ha prevalso alle elezioni, non sono state che parentesi. Ed ora il processo precipita in qualcos’altro. L’apparente rispetto di Berlusconi per le forme della democrazia, rendendola quel che qualcuno, utilizzando Guy Debord, ha chiamato «democrazia spettacolare», si sta sbriciolando. Quel che sta emergendo è il nucleo duro, dirigista e intollerante, del berlusconismo. Negli ultimi mesi una serie di scandali avrebbero dovuto indurlo a dimettersi o a moderare i toni. La clamorosa scoperta di un giro di prostitute che partecipavano a «feste» nella casa romana del primo ministro, ad esempio. Gli attacchi forsennati alla stampa e alle poche trasmissioni televisive che lo incalzano su queste faccende. I numerosi processi per corruzione e altri reati in cui è coinvolto, ultimo quello sulla Mondadori, grande casa editrice di cui Berlusconi si assicurò la proprietà, anni fa, corrompendo un giudice. Le ricorrenti voci sul fatto che i processi per le stragi di mafia dei primi anni novanta lo implicherebbero, cosa a cui lui stesso alluse in uno dei consueti comizi contro i «giudici rossi». Infine, appunto, la bocciatura, da parte della Corte costituzionale, della legge sull’impunità.
A tutto questo Berlusconi ha reagito con insulti al presidente della repubblica e alla Suprema corte, favorendo campagne di stampa diffamatorie contro i suoi avversari interni, come il presidente della camera Fini, cercando di impadronirsi definitivamente della tv pubblica, la Rai, riducendo il parlamento a un notaio degli atti del governo [il 90 per cento delle leggi approvate sono di iniziativa dell’esecutivo, da un anno in qua].
Ma questa è solo la superficie istituzionale, per così dire. La legge che ha introdotto il reato di «clandestinità», per cui è un migrante è colpevole per il solo fatto di essere in Italia senza documenti, ha creato un clima di paura e di caccia all’uomo. Altre leggi hanno del tutto escluso le comunità locali nei procedimenti per l’approvazione di «grandi opere», il che equivale, per citare i bolscevichi, a un «liberismo di guerra». La crisi economica, che sta provocando un drammatico aumento della disoccupazione, viene semplicemente negata dal governo, che non può abbandonare facilmente il messaggio dell’«arricchitevi». Mentre la campagna sulla «sicurezza» ha spinto nelle strade reparti dell’esercito, presuntamente alla ricerca di delinquenti, e legittimato le cosiddette «ronde», gruppi di civili che si sostituiscono alle forze dell’ordine. La spinta della Lega nord non solo verso un regime anche formalmente razzista, ma per il «federalismo fiscale», ossia la sottrazione delle regioni del nord dalla fiscalità generale, base dello Stato, hanno accentuato lo squilibrio già molto grave, e storico, tra sud e nord del paese.
L’Italia è in questo momento un paese molto interessante, purtroppo per i motivi sbagliati. La determinazione di Berlusconi nel restare al potere ad ogni costo può provocare eventi imprevedibili e, appunto, modificare l’assetto istituzionale democratico-liberale. In che tempi e con che mezzi nessuno lo sa, nemmeno il «premier». Siamo, come direbbe Almodovar, sull’orlo di una crisi di nervi, forse anche oltre.
El laboratorio italiano
Pierluigi Sullo*
Italia está imponiendo récord: como país del primer mundo, miembro de la Unión Europea, de la Organización del Tratado del Atlántico Norte (OTAN) y del G-8, experimenta la transformación traumática de su ordenamiento político e institucional; de una democracia representativa va hacia otra cosa, cuya forma aún es desconocida pero sostenida y evidente, como un principado o una dictadura unipersonal, que elimina la supremacía del Legislativo sobre el Ejecutivo –según lo ordena la Constitución de 1947–, anula la independencia del Poder Judicial y se complementa con la alineación de los medios de comunicación que se ponen al servicio del gobierno.
Lo anterior puede parecer una afirmación excesiva. Muchas voces replican: Nosotros no somos una republiqueta bananera. Los prejuicios se niegan a morir, y aquello que acontece en América Latina, los movimientos sociales y los gobiernos independientes de Estados Unidos, son ignorados por gran parte de nuestro público. Otro tanto ocurre con las formas de democracia en esas latitudes: al fin, lo que predomina son las visiones estereotipadas que nos aportaron las películas de Hollywood.
En contrasentido, la resistencia aquí es fuerte por parte de las instituciones, como lo testimonia la sentencia del Tribunal Constitucional que en estos días anuló la ley por la cual los cuatro principales cargos del gobierno estatal –el presidente de la república, los presidentes de cada rama del Legislativo y sobre todo el presidente del consejo de gobierno– gozaban de inmunidad especial durante sus mandatos.
Otro tanto exhiben ahora las grandes manifestaciones, como la organizada por el sindicato de periodistas –que reunió a centenares de miles de personas en Roma– en defensa de la libertad de expresión, tras los ataques del gobierno a los periódicos y a las transmisiones televisivas especialmente críticas y mordaces. Así, entonces, pareciera que la confrontación entre los defensores de la integridad del ordenamiento constitucional y quienes pretenden modificarlo se encuentran, ambas, en cierto equilibrio.
Pero si se observa más de cerca, y se ejercita la memoria, se ve cómo en los últimos meses han arribado a un punto crítico los procesos de cambios sustanciales en el sistema político e institucional, comenzando una quincena de años con el escándalo de Tangentopoli1, que destruye a los partidos dominantes de la considerada primera república, en particular el partido (Estado) de la Democracia Cristiana, y con el surgimiento –a partir de 1994– de un poderoso empresario de las televisoras, las finanzas, las editoriales, las constructoras y muchas otras cosas: Silvio Berlusconi. Éste introdujo en su momento un ingrediente novedoso, hasta ese momento desconocido, el marketing electoral –propulsado por los aires de sus televisoras– en torno a su partido-hacienda, su partido-producto llamado Forza Italia. Pero, sobre todo, instaló la figura de un “capo de gobierno” que se comportó como el presidente de un consejo de administración; es decir, idéntico a éste, dotado potencialmente de todos los poderes –aunque despojado de cualquier cultura democrática respetuosa de la máxima que otorga equilibrio entre los poderes constituidos–, desde un fascismo largamente proyectado.
El rompimiento social causado por el liberalismo, que debilitó las organizaciones de trabajadores y a la izquierda con las ilusiones del enriquecimiento individual, así como la Liga del Norte del país –representante ni más ni menos del impulso para competir en el mercado mundial por parte de un sector de pequeños industriales– montaron un escenario positivo para la aventura política de Berlusconi. Su mensaje político fundamental, como fue el de Napoleón III en la narración de Marx, ¡arriésguense! Claro: todos pueden volverse ricos, si me imitan y me sostienen.
La vida política italiana ha estado dominada, durante tres lustros, por este personaje con este mensaje, y en las dos ocasiones en los que la centroizquierda, con un discurso liberal moderado, ha ganado las elecciones, no han sido más que un paréntesis. Ahora el proceso institucional se precipita hacia otro lado. El aparente respeto de Berlusconi por las formas de la democracia, asegurando que él es sólo uno más, utilizando lo que Guy Debord llama democracia espectacular, se está desmenuzando. Aquello que está emergiendo es el núcleo duro, dirigista e intolerante del berlusconismo. En los últimos meses una serie de escándalos debieron inducirlo a dimitir o por lo menos, aunque más no fuera, a moderar los tonos. El estruendoso descubrimiento de un circuito de prostitutas que participaban en fiestas en la residencia romana del primer ministro es un ejemplo. Los ataques se publicaron en periódicos y por algunas pocas trasmisiones de televisión que lo captaron en sus quehaceres.
Los numerosos procesos por corrupción y otros hechos en los que se ha visto envuelto, el último en Mondadori –la gran casa editorial de la que Berlusconi se hizo propietario hace unos años– incluyen a un juez. Son recurrentes, también, las voces en los procesos contra la mafia en los 90 que lo implicaron, ante lo cual se defiende argumentando con uno de sus recursos favoritos que acusa a la judicatura de tener jueces rojos.
En fin, subrayo la reprobación por parte del Tribunal Constitucional de la ley de la impunidad.
A todo esto Berlusconi ha reaccionado con insultos hacia los presidentes de la república y de la Suprema Corte, iniciando una campaña difamatoria contra sus adversarios internos, como el presidente de la Cámara de Diputados, Gianfranco Fini, al intentar apoderarse definitivamente de la televisión pública –la Rai– reduciendo el Congreso a un notario de los actos del gobierno (90 por ciento de las leyes aprobadas en el último año han sido iniciativa enviadas por el Ejecutivo).
Pero, hay que decirlo, esto es sólo la superficie institucional. La ley que ha introducido el delito de clandestinidad, por el cual un migrante es culpable por el solo hecho de estar en Italia sin documentos, ha creado un clima de terror y de caza del hombre. Otras normas han excluido del todo a las comunidades locales en los procedimientos para la aprobación de las grandes obras, lo que equivale –parafraseando a los bolcheviques– a un liberalismo de guerra. La crisis económica, que está provocando un dramático aumento de la desocupación, es simplemente negada por el gobierno, que no puede abandonar con facilidad el mensaje de arriésguense. Mientras la campaña sobre la seguridad ha justificado las apariciones del ejército italiano en las calles, presuntamente en búsqueda de apresar delincuentes, se han legitimado las denominadas rondas, los grupos de civiles que suplantan a las fuerzas del orden.
El impulso dado por la Liga del Norte no es sólo hacia un régimen que fomenta el racismo, sino el federalismo fiscal, o sea la sustracción de la región del norte de las cargas fiscales generales, base de la captación del Estado, con lo cual acentúan los desequilibrios, ya muy graves, históricos, entre el sur y norte del país.
Italia es en este momento un país sumamente interesante para observar por todos los motivos señalados. La determinación de Berlusconi de mantenerse en el poder a cualquier costo puede provocar situaciones impredecibles y, advierto, modificar la ingeniería institucional democrático-liberal. En qué tiempo y con qué medios, nadie lo sabe, y menos el premier. Estamos, como diría Almodóvar, al borde de una crisis de nervios, o, tal vez, más allá.
1 Manos Limpias (Mani pulite) se conoce al proceso judicial llevado a cabo por el fiscal Antonio di Pietro en 1992. El mismo descubrió una extensa red de corrupción que implicaba a los principales partidos políticos de entonces y a varios grupos empresariales. Los hechos causaron conmoción pública, conociéndose como la tangentopoli. Tangente se entiende como comisión ilegal (mordida) en italiano (N. del T.).