di Wassyla Tamzali (*)
(*) Femminista, avvocata algerina Wassyla Tamzali, avvocata algerina, ex direttrice della commissione dei diritti delle donne dell'Unesco, con Une femme en colère, lettre d'Alger aux Européens désabusés (Gallimard, 9,50 ) affronta la questione dell'identità interrogando gli europei post-moderni sulla questione, sempre di attualità e fonte di polemiche, delle «donne musulmane», diventata «l'emblema del rapporto tra i mondi occidentale e musulmano».
- Mentre si discute di identità nazionale, tu parli di dimissione del pensiero occidentale di fronte ai comunitarismi di ogni tipo. Cosa vuoi dire?
- L'identità nazionale ha un senso quando c'è una minaccia, cioè nella mobilitazione contro un invasore, nelle lotte di liberazione. Ma qui non si tratta di invasori, ma di immigrati. Contemporaneamente, abbiamo in risposta delle rivendicazioni culturaliste e identitarie da parte di diversi gruppi. Per esempio, i maghrebini, francesi di seconda o terza generazione - non i primi arrivati, che erano preoccupati dai problemi della casa, della scuola, dell'integrazione - che rivendicano un'identità basata sull'islam. Ma questo altro, che è visto come pericolo potenziale per la nazione francese, se lo si cacciasse dove andrebbe? L'unica strada politica e filosofica che vedo è quella di considerare queste persone come componenti, con le loro differenze, di una cultura francese o italiana ecc. Ma invece di applicare una politica eguale per tutti, si tende a creare delle sottocategorie di residenti. Mi spiego. Se una donna ci dice «porto il velo», mi chiedo cosa vuol dire il velo per la mia coscienza moderna e femminista. La questione femminile è l'anello debole di tutta la costruzione, perché l'eguaglianza non si è ancora compiuta. Questa questione mette in evidenza anche una debolezza del pensiero femminista, che si rivela incapace di rispondere ai travestimenti di senso quando si fa riferimento all'islam e si mette in avanti la morale sessista dominante nella religione musulmana.
- Nella tua lettera agli europei disincantati ti presenti come «donna appartenente a una società di tradizione musulmana». E difendi una punto di vista universalista...
- Sì, sono femminista, laica e universalista, ma di origine musulmana. Mi identifico così, perché, come in tribunale, per avere accesso agli atti bisogna essere tra gli accusati. Dire questo, non vuol dire che si fa automaticamente riferimento alla religione in sé, ma soltanto che bisogna tener conto della storia ed essere musulmani, come del resto essere ebrei, nella nostra società è quasi automaticamente assimilato a un'etnia o a una nazione, anche se non le si rappresenta. C'è poi una categoria di militanti, che si dicono femministe cattoliche, protestanti, ebree, musulmane, cioè che pongono subito la lotta, l'interrogazione dall'interno del dogma a cui appartengono. Ho partecipato ad aprile a un importante incontro in Malesia del movimento «Per l'uguaglianza». Queste donne sono musulmane e l'affermano: non vogliono più essere discriminate in nome della religione. C'è poi un'altra categoria, le femministe islamiche, presenti quasi esclusivamente in Europa, legate in varia misura agli islamisti e finanziate da essi. Lottano per l'eguaglianza coranica. La sola libertà che si prendono è dire che l'islam è stato mal interpretato e restano nella legalità islamica.
- Il problema è che oggi l'universalismo dei valori occidentali è evocato a volte per mascherare sentimenti xenofobi.
- È questa la grande difficoltà della nostra lotta. Abbiamo di fronte gli islamofobi che sembrano condividere alcune nostre idee. Il dibattito sull'identità nazionale avviato in Francia dal ministro Eric Besson è un modo per tornare a Charles Maurras, invece di riaffermare l'universalità, solo modo per vivere assieme le differenze. Besson dovrebbe occuparsi dell'identità europea, di cui non parla, invece di tornare al XIX secolo. L'identità non è mai normativa ed è fascismo voler stabilire delle norme identitarie. Ma per rispondere a Besson è pericoloso difendere l'islamismo. Significa fare come Bush, che ha risposto all'estremità dell'11 settembre con un ritorno alla colonizzazione. Da una parte e dall'altra, tutte le rivendicazioni identitarie finiscono per giocarsi sul corpo delle donne. Allo tsumani identitario europeo si risponde con uno tsunami differenzialista. E così facendo si fa il gioco degli islamisti, mentre le femministe maghrebine avranno sempre maggiori difficoltà ad esprimersi, perché tutto quello che succede in Europa viene guardato con estrema attenzione nei paesi del sud.