sabato 2 maggio 2009

“Post fata resurgo”: una volta le chiamavano Opere Pie ..

di Leonardo Angelini
In base ad un decreto legge del 2 giugno del 2001, voluto dall’allora ministra Turco, e varato a parlamento chiuso pochi giorni prima dell’avvento del redivivo Berlusconi, le vecchie IPAB furono trasformate in ASP (Aziende di Servizi alle Persone) destinate a diventare – nelle intenzioni della Turco – uno dei fulcri di quel processo di esternalizzazione dei servizi volto a rovesciare i criteri si sussidiarietà, a mettere fuori gioco i vecchi servizi pubblici e a diventare il motore dei nuovi servizi alla persona dell’allora nascente welfare mix.

In base a quella legge – peraltro mai discussa in parlamento - che demandava poi alle regioni la fissazione dei criteri attuativi in base ai quali poi mettere concretamente in piedi nel territorio le varie ASP, negli anni scorsi la Regione Emilia e Romagna ha varato un insieme di norme in base alle quali, entro e non oltre il 30 aprile scorso, le ex IPAB regionali dovevano trasformarsi in ASP, pena l’alienazione da parte dei comuni dei loro patrimoni.
Sono nate così in fretta e furia in Regione, fra il gennaio e l’aprile di quest’anno, 41 ASP, sei delle quali in provincia di Reggio Emilia: l’Opus Civium, l’OSEA, il S. Pietro e Matteo, la Magiera Ansaloni, il Progetto Persona e la Rete. In base alla legge regionale del 2 Marzo del 2003, poi perfezionata a più riprese, tutte queste neo-aziende sono state istituite dai comuni del distretto in cui operavano in precedenza come IPAB.
Si badi bene che la legge regionale non obbliga i Comuni ad integrare i propri servizi con le ASP, ed anzi lascia aperta la possibilità che essi procedano autonomamente; o anche che si convenzionino con le ASL (con le quali sul tema dei minori tutti i comuni della nostra provincia erano convenzionati fino al cosiddetto “ritiro delle deleghe” avvenuto intorno al 2000).
In base all’articolo 45 della legge del 2003 ciò significa che i fondi nazionali, regionali e locali per il “sociale” possono essere indirizzati dai comuni o verso le ASP, o – come accade attualmente – in direzione dei propri servizi sociali più o meno consorziati, oppure in direzione delle ASL.
Ebbene all’interno di questo quadro così fluido il Comune di Reggio, finora non ancora corroborato in questo proposito dagli altri comuni, è orientato, almeno per quanto riguarda l’età evolutiva, ad imboccare decisamente la prima strada, quella della esternalizzazione in direzione delle ASP delle funzioni sociali tipiche di quest’area, nonché della direzione dei delicati processi ad esse connessi.
Se andasse in porto, un’operazione di questo genere – che, si badi bene, avrebbe senz’altro un senso qualora fossimo in un territorio privo di una tradizione di servizi sociali forti - a Reggio Emilia diventerebbe una costosa opera di ridisegno dei servizi per l’infanzia e la famiglia qui esistenti, destinato a porre una pietra tombale sopra una storia gloriosa lunga quasi 40 anni.
L’allocazione delle risorse statali, regionali e locali in direzione delle ex-IPAB, infatti, sguarnirebbe di risorse i servizi pubblici per l’infanzia che in questo quarantennio hanno chiuso l’ospedale psichiatrico e gli enti inutili, integrato i disabili nelle scuole e nella società, affrontato il disagio, messo in piedi progetti di volontariato giovanile e - per ultimo - il problema dell’accoglienza e l’integrazione dei migranti mettendo in piedi sempre servizi di prim’ordine, non dimenticando mai di concorrere efficacemente sul piano delle domande che provenivano dal sociale, sia quando esso era all’interno dell’ASL, sia ora che è stato decentrato ai comuni: operando e riflettendo sempre sul significato del proprio operare e sulle trasformazioni strutturali e sovrastrutturali che, col passare degli anni, sono intervenute nel territorio reggiano.
E adesso, per compiacere i grandi elettori - cattolici e non - che vivacchiano da una vita nelle ex-IPAB si dovrebbe buttare a mare tutto questo patrimonio reggiano di servizi e di esperienze?! Se la sinistra ha ancora un’anima deve contrastare risolutamente questa operazione clientelare, foriera di sprechi, incunabolo di ulteriori spinte alla precarizzazione del lavoro all’interno del welfare locale.

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